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Alla scoperta dei ciclopi

Immaginate di avere la possibilità di essere sulla terra tra centinaia di anni, al fianco di un “uomo del futuro” che per la prima volta entra in una città abbandonata da tanti anni e trova lo “scheletro” di un’automobile o il braccio abbandonato di una gru.
A cosa potrebbe pensare? Ad un gigantesco robot andato deteriorandosi del quale rimangono solamente alcuni elementi? Ad un enorme serpentone d’acciaio che sta mutando la pelle?
Non possiamo saperlo. Non è facile pensare e guardare la realtà con occhi diversi da quelli “oggi”.
Non deve, quindi, stupire che alcune leggende giunte a noi dall’antichità possano essere nate, e poi tramandate, sulla base di errate interpretazioni circa il ritrovamento di reperti.


Probabilmente proprio questo è accaduto anche per uno dei protagonisti del nostro viaggio, il ciclope Polifemo. I ciclopi sono sempre stati definiti gigantesche divinità con un occhio solo, il cui nome deriva dal greco κύκλος (cerchio) e ὤψ (occhio). Ma diverse sono le teorie che gravitano intorno al loro mito.

Secondo il poeta Esiodo questi enormi esseri umani altro non erano che degli artigiani abilissimi, che si tramandavano le loro grandi abilità nella lavorazione del ferro. Tra le ipotesi più attendibili rimane quindi l’idea che i ciclopi fossero antichi fabbri, artigiani emigrati da Oriente per lavorare i metalli, e che la particolarità dell’“unico occhio” fosse dovuta all’utilizzo di una benda per proteggersi dalle scintille o, ancora, dalla presenza di un tatuaggio a forma di sole sulla fronte che li caratterizzava e che probabilmente trasse in inganno le prime testimonianze.

Questa teoria non viene ripresa da Omero che nell’Odissea presenta Polifemo solamente come un mero essere mostruoso, isolato dalla civiltà e costretto a vivere di pastorizia senza disdegnare la possibilità di cibarsi di esseri umani, come Ulisse e i suoi compagni.

Questi si affidano ai numi immortali: non piantano alberi, non arano campi; ma tutto dal suolo per loro vien su inseminato e inarato, orzo e frumento e viti che portano vino nei grappoli grossi, che a loro matura la pioggia celeste di Zeus.” (Odissea, IX, 107-111)

Ma torniamo alle premesse dell’articolo, al momento del “ritrovamento di un reperto”. Abbandoniamo però l’”uomo del futuro” e prendiamo, invece, un “uomo del passato”, pensiamo ad un abitante della Sicilia di più di 2500 anni fa che sta passeggiando lungo la Trinacria. Camminando si imbatte in un teschio, enorme se paragonato a quello di un essere umano, che presenta una particolarità: una cavità nel mezzo dello scheletro.

Cosa può pensare? “Sono davanti ad una creatura gigantesca, mai vista prima! Un uomo di dimensioni enormi! Ma, soprattutto, un uomo… con un occhio solo!”.
Una valutazione fantasiosa se fatta con gli occhi di oggi, ma che allora non avendo particolari termini di confronto poteva sembrare razionale.

In realtà in cosa poteva essersi imbattuto il nostro avo siciliano?
È presto detto. Caratteristico delle isole è il cosiddetto “nanismo insulare”, un processo che riduce le dimensioni di grossi animali, perlopiù mammiferi, quando il pool genetico viene ristretto a causa dell’endogamia, ovvero l’incrocio tra esseri consanguinei. Un tipo di adattamento che porta, grazie alle ridotte dimensioni degli animali, anche ad un consumo minore di risorse.

E quindi? Quindi, come tutti sappiamo, la Sicilia è un’isola che in antichità fu interessata dalla diffusione di numerosi esemplari di elefanti nani. Facile dunque pensare che il teschio rinvenuto dal protagonista della nostra ipotetica storia fosse di uno di essi: non sufficientemente grande da poter essere scambiato per quello di un elefante vero e proprio, né così piccolo da poter essere quello di un essere umano, ma “abbastanza gigante” e, soprattutto, con una cavità al centro da far pensare ad un essere mostruoso. Da qui la nascita del mito dei giganti!

Teschio di un elefante nano

Questa l’ipotesi più scientifica, in alternativa a quella più epica dei fabbri dotati di benda. Tuttavia che fossero artigiani o elefanti, figli degli Dei o solo di Poseidone come il nostro Polifemo, rimane la certezza che se ci si trovasse di fronte ad un ciclope la prima cosa da fare sarebbe quella di scappare, e non mettersi a studiare la sua storia!

Proprio come ha fatto Nessuno. Ops, Ulisse.

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