Leighton tra Michelangelo e il classicismo
Nel 1855, il ventiquattrenne Frederic Leighton esordì alla Royal Academy con La Madonna di Cimabue portata in processione per le strade di Firenze. Sebbene il dipinto si potesse considerare “preraffaellita”, dal momento che celebrava l’arte di un’epoca precedente a quella del maestro di Urbino e si fondava sullo studio delle fonti visive italiane, la critica, tuttavia, non ebbe dubbi nell’affermare che lo stile dell’autore differiva nettamente da quello dei confratelli e dei loro seguaci associati. John Ruskin non paragonò l’opera a quella di un pittore italiano antico, bensì a un grande maestro veneto del Cinquecento, Paolo Caliari detto il Veronese.
Del resto, Leighton differiva dagli artisti della cerchia preraffaellita anche per il bagaglio culturale e la formazione di stampo cosmopolita. Studiò con il nazareno Eduard von Steine a Francoforte e, nel 1852, si trasferì a Roma. Nella città eterna avrebbe realizzato i ritratti della bellissima Nanna Risi – all’epoca moglie di un ciabattino romano, in seguito compagna del pittore Anselm Feuerbach – dando vita a una serie di immagini di sofisticata eleganza, rivelatrici della sua passione per la pittura veneziana e manierista. E ancora nei primi anni Sessanta e fino a tutto il decennio successivo il fascino del popolo italiano, antico e fiero, affiorerà tra studio dal vero e suggestioni rinascimentali in una sequenza di ritratti davvero impressionanti per la loro intensità. Non a caso, nella comunità italiana a Londra, Constance Phillot rintraccerà il suo modello per Tito Melema, il protagonista del romanzo Romola di George Eliot, ambientato nella Firenze del XV secolo.
Fin dall’inizio della sua carriera, il pittore nutrì una speciale ammirazione per Michelangelo, celebrato nella scena toccante del Michelangelo veglia il servo morente, nella quale era riuscito a proporre con un rinnovato vigore questo noto aneddoto biografico. E se Il segno di Gionata a David (c.1868) è un omaggio all’artista, sarà però soprattutto a partire dal decennio successivo, quando Leighton si accosterà alla scultura, che il maestro italiano diventerà per lui un riferimento imprescindibile, come dimostra il debito formale di The Sluggard (L’indolente), ispirato allo Schiavo morente.
Profondo conoscitore della grande arte del passato, capace di confrontarsi con fonti figurative diverse tra loro, Leighton credeva nella grandezza della tradizione e nella sua intatta vitalità. Il viaggio in Grecia del 1867 gli consentì una più profonda comprensione del mondo classico. Da quell’esperienza la sua arte divenne sempre più sensuale e decorativa: una pittura sontuosa, tale da agire sui sensi dello spettatore. Le ragazze greche che raccolgono ciottoli in riva al mare ne sono un esempio straordinario. Le incantevoli figure delle fanciulle che trattengono pudicamente le vesti sollevate dal vento – quasi una citazione letterale da Guido Reni – sono avvolte nell’atmosfera rarefatta e malinconica di un paesaggio mediterraneo. “Un soggetto che, di per sé, non è niente” avrebbe scritto la critica, affascinata dalla “grazia quasi inesauribile” e dalla “bellezza del disegno e del colore”.