Il venetismo di Watts
L’arte rinascimentale fu importante per George Frederic Watts tanto quanto lo fu per Burne-Jones e Leighton. L’artista aveva trascorso quattro anni formativi in Italia, tra il 1843 e il 1847. A Roma fu folgorato dalla vista degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina e delle Stanze Vaticane di Raffaello. A Firenze studiò l’arte primitiva, che tuttavia considerava – distinguendosi così dai preraffaelliti – il punto di partenza di un’evoluzione che aveva il suo apice nella Venezia del Cinquecento. Tiziano, sopra a tutti, rappresentava il suo ideale, a tal punto da indagarne la tecnica sui testi antichi e, persino, da imitarlo nel modo di abbigliarsi.
Da questa particolare predilezione maturarono le scelte iconografiche e la passione per il colore nelle sue tonalità più intense che contraddistinguono i dipinti dell’artista degli anni Settanta e Ottanta. Quando fu esposto presso la Royal Academy nel 1872, il Ritratto di Miss Virginia Julian Darlymple attirò immediatamente l’attenzione della critica per il virtuosismo dei panneggi e, soprattutto, per il gioco cromatico delle sfumature terrose e dei motivi vegetali nello sfondo.
Ai tanto amati modelli veneziani – Tiziano e Veronese – si ispira anche Love and Death, nel quale l’artista esprime significati universali in chiave allegorica e simbolica, con lo scopo – a suo dire – ‘di dimostrare che l’arte, come la poesia e la musica, possa suggerire i pensieri più nobili e teneri, ispirando e risvegliando, se solo per un momento, le sensibilità più elevate della nostra natura’. Amore e morte ricorrono anche nella serie dei dipinti dedicati alla tragedia di Paolo e Francesca, in un’interpretazione del testo dantesco via via sempre più carico di pathos. In questa ricerca si colloca anche Sir Galahad, davanti al quale William Michael Rossetti non poté fare a meno di riconoscere “la tendenza del signor Watts all’idealismo”, che raggiungerà uno degli esiti più alti nelle diverse versioni di Hope.
In questa lunga e vasta produzione, pervasa dallo spirito dell’Italia, anche i miti greci sono reinterpretati attraverso il filtro drammatico dell’arte rinascimentale in una visione che sottolinea la continuità tra classicità e Cinquecento. Se i drappeggi increspati dai contorni elaborati dell’Arianna sull’isola di Nasso rimandano alle sculture del Partenone – in quegli anni si apre la Elgin Collection al British Museum -, la ricchezza cromatica deriva ancora una volta dalla lezione dei maestri veneti.
Conoscitore profondo e attento, capace di confrontarsi con modelli diversi, Watts aveva modellato il busto di Clizia in diverse versioni e con tecniche differenti – bronzo, marmo, terracotta – senza nascondere il debito formale da Michelangelo. La favola di Orfeo, che aveva affascinato anche Leighton, occuperà l’artista per un decennio fino al 1879. Al Ratto di Europa di Tiziano, Watts si ispirerà trattando dello stesso soggetto. Il ricordo dei grandi maestri affiora anche nei dipinti ispirati all’Antico Testamento, come For he had great possessions nel quale l’artista conduce una riflessione morale sull’avidità, riconoscendovi un dramma della società del proprio tempo.