Firenze visionaria: Stanhope, De Morgan

Colonia anglofona numerosa e fervida già nel periodo risorgimentale, Firenze da un lato provvedeva materiali di prima mano agli studi e alla creatività di artisti e intellettuali inglesi, dall’altro sviluppava localmente esperienze culturali in sintonia con la comunità preraffaellita-vittoriana d’origine, fino a influenzare un’intera stagione dell’artigianato artistico fiorentino, come testimonia l’anglofilia delle manifatture Cantagalli e in seguito di Ginori e Chini.

Nel melting pot di artisti, letterati, studiosi, collezionisti e mercanti stranieri che vivevano nel centro della città ma anche – e preferibilmente – in ville sulle colline, si svolgono varie vicende
collegate con le rispettive madrepatrie. È una Firenze proiezione dell’anima e della mente. Una Firenze rimpianta e sognata quella della numerosa comunità inglese. A costoro si deve la creazione ottocentesca del mito di Firenze.

A Firenze risiedeva l’anglo-fiorentino Frederick Stibbert, onnivoro raccoglitore d’arte e fondatore del museo omonimo. Negli anni Cinquanta vi giunse l’americano James Jackson Jarves, viceconsole dal 1879 al 1882, che si distinse come instancabile acquirente di dipinti su tavola, poi venduti alla Yale University Art Gallery a New Haven. Nel 1878 si stabilì a Firenze il pittore Charles Fairfax Murray, figura chiave del preraffaellismo. Pochi anni dopo, nel 1888, si stabiliva a Firenze il lituano Bernard Berenson, raffinato conoscitore d’arte nonché regista di transazioni oltreoceano. Il londinese Percy Herbert Horne, studioso e pittore, dopo vari soggiorni in città vi si trasferiva definitivamente nel 1905, creando un proprio palazzo-museo, e pubblicando nel 1908 una monografia in due volumi su Sandro Botticelli.

Tra gli artisti che lavorarono a Firenze nel tardo Ottocento, collocandosi tra gli eredi di un ormai diffuso e diversificato preraffaellismo e continuando a trarre sostanza ispiratrice dai grandi maestri del passato, vi furono John Roddam Spencer Stanhope e sua nipote Evelyn De Morgan, protagonista della cosiddetta Pre-Raphaelite Sisterhood, insieme alla modella e talentuosa pittrice di origini greche, Marie Spartali Stillmann, anche lei giunta in Italia alla fine degli anni Sessanta.

Allievo di George Frederic Watts e di Burne-Jones, frequentatore di Firenze per ragioni di salute e là rimasto dal 1880 fino alla morte nel 1908 a villa Nitti a Bellosguardo, Spencer Stanhope contribuì all’ornamento delle due chiese della comunità inglese, Holy Trinity e St Mark’s. Si dedicò inoltre a quadri neorinascimentali, dalla resa potente per il disegno fermo e le dense stesure cromatiche, con episodi evangelici nonché con spunti mitologici talora risolti in seducenti nudi di Venere, Flora e Andromeda ispirati a Botticelli.

Anche sua nipote Mary Evelyn Pickering, più conosciuta con il cognome del marito William De Morgan, collaboratrice di Morris, fortemente influenzata da Burne-Jones, alternò periodi in Inghilterra a soggiorni a Firenze, dove approfondì la conoscenza diretta degli antichi maestri, raggiungendo una cifra estetica del tutto personale. Oltre alla melodiosa sinuosità della linea e allo sfarzo del colore, De Morgan trasse da Botticelli, suo riferimento privilegiato, copie fedeli come la Nascita di Venere e Flora (1894), particolare dalla Primavera. Dall’ultimo Botticelli (così segnato dalla spiritualità savonaroliana), trasse quell’espressionistica inclinazione alla figura tormentata e malinconica.