I Simpson: quando Ulisse si tinge di giallo

La mostra “Ulisse. L’arte e il mito” lo ha insegnato. Ogni cultura, ogni periodo storico ha avuto il suo punto di vista sul poema omerico, prediligendo temi diversi e ponendo l’attenzione su differenti valori a seconda del contesto culturale nel quale gli artisti erano immersi.

Anche la nostra contemporaneità, piena di nuovi linguaggi, prodotti “pop” e commerciali capaci di parlare a tutto il mondo, ha offerto nuove visioni del mito di Ulisse, proponendo trasposizioni parodistiche che gli artisti del passato non avrebbero mai preso in considerazione.

Una di queste è Il 14º episodio della 13ª stagione dei Simpson, intitolato “Opere di pubblico dominio”. Nella casa della famiglia-cartoon più famosa d’America viene rinvenuto un libro di storie per bambini che Homer avrebbe dovuto riconsegnare alla biblioteca di Springfield molti anni prima. I racconti in questione sono “Amleto”, “Giovanna D’Arco” e, ovviamente, “Ulisse”. Proprio da quest’ultimo si apre la narrazione, con Homer che legge a Bart e Lisa le vicende dell’eroe omerico proiettando gli spettatori nel bel mezzo del poema.
È qui che possiamo trovare una nuova versione del mito: irriverente, nonsense, politicamente scorretta ma che apre ad una riflessione, nonostante la breve durata (l’Odissea simpsoniana dura una decina di minuti), sulla scelta di interpreti e temi narrati che testimoniano i valori dell’uomo contemporaneo.

“Era la fine della guerra di Troia, l’astuto Ulisse escogitò un piano per annientare i troiani una volta per tutte”, questo è l’incipit del racconto di Homer e da qui parte il viaggio nell’Odissea del suo alter ego che, alle porte della città di Troia, è in procinto di donare il celeberrimo cavallo a Ned Flanders, l’odiato vicino di casa, qui nei panni del capo dei troiani.
Questo accetta volentieri anche perché, in questa trasposizione, è un collezionista di animali giganteschi in legno, tanto per sottolineare, se necessario, il nonsense del cartone animato firmato Matt Groening. Nella notte Homer-Ulisse e compagni, tra i quali troviamo Lenny, Carl, Boe e Apu, escono dal cavallo di Troia sorprendendo l’esercito nemico e sconfiggendolo.

(Il racconto prosegue molto celermente lasciando qualche vuoto narrativo colmato dalla notorietà della vicenda e dalla libertà narrativa che può prendersi un prodotto parodistico di questo tipo.)

Dopo la vittoria, nonostante la raccomandazione degli amici, Homer-Ulisse sceglie di non sacrificare alcun animale per ringraziare gli Dei che, offesi, lo mandano fuori rotta. Gli Dei in questione sono Zeus, interpretato da Quimby, sindaco di Springfield, Poseidone, il marinaio, e Bacco, aka Barney l’amico alcolizzato di Homer (che in un impeto d’ira e ubriacatura ruba un fulmine a Zeus e distrugge Atlantide).

Il soffio di Poseidone porta Homer-Ulisse e compagni alle Isole Folli, dalle quali proviene un piacevole canto che ammalia i viaggiatori. Al momento dell’ormeggio, però, si scopre la vera identità delle cantanti: le sirene Patty e Selma, sorelle di Marge e da sempre riconosciute come non troppo attraenti.

Da questo punto di vista la reazione suscitata su Homer-Ulisse e compagni è l’opposto di quella universalmente nota, questi non sono affascinati ma, anzi, scappano a gambe levate dalle donne. La fuga di Homer-Ulisse e compagni li porta quasi fino ad Itaca, quando Poseidone, proprio vicini all’arrivo, li caccia al cospetto di Circe (personaggio creato ad hoc, non presente nella quotidianità di Springfield).
Homer rimane sulla nave mentre i compagni, già calcato il suolo dell’isola, si lasciano convincere a bere una spettrale pozione offerta loro dalla maga che li trasforma in maiali.
Quando Homer-Ulisse vede gli animali, nota la somiglianza con i suoi amici, ma nonostante ciò non resiste e divora i quattro suini.
Si scopre, qui, che Homer-Ulisse era stato avvertito da Circe che quelli che stava mangiando erano i suoi amici ma lui, accecato dalla gola, non aveva saputo fermarsi. Uno dei tanti riferimenti alle debolezze e ai vizi dell’uomo contemporaneo presenti in questa puntata e nella serie in generale.
Dopo l’infausto pasto Circe confida ad Homer come tornare a casa: occorre navigare lungo il fiume Stige, superando l’Ade. Esso è rappresentato come un concerto rock, dove anime e scheletri cantano e ballano “Lady” degli Styx (che tradotto significa proprio Stige!), canzone non troppo apprezzata dal nostro protagonista che esclama: “Ah! Ma questo è proprio l’inferno!”.

Anche il passaggio nell’Ade dura il tempo di un battito di ciglia e di colpo ci troviamo ad Itaca. Sono passati vent’anni da quando Homer-Ulisse ha intrapreso il proprio viaggio, vent’anni senza vedere Penelope-Marge, impegnata a respingere i numerosi corteggiatori, tra gli altri Krusty, Disco Stu, Kent Brockman, Skinner, il signor Burns, il papà di Milhouse, ed in procinto di scegliere il fortunato.

All’improvviso Homer-Ulisse rincasa e, salutato con pochissimo entusiasmo, uccide i pretendenti.
Homer-Ulisse e Penelope-Marge sono finalmente ricongiunti dopo il lunghissimo girovagare dell’eroe, ora in grado di riposarsi e godersi la famiglia. Situazione idilliaca che dura pochi secondi, fino a quando Homer-Ulisse, stanco della famiglia, decide di dirigersi da Boe, la sua birreria di fiducia per trascorrere lì il resto della giornata.

Questa, in estrema sintesi, l’opera omerica narrata attraverso gli occhi della popolare famiglia gialla americana. Oltre alla scelta dei personaggi nell’interpretazione dei ruoli omerici, basata perlopiù su somiglianze ed analogie (Bacco, Dio del vino – Barney, alcolista; Poseidone, Dio del mare – il marinaio di Springfield; le sirene, ammalianti ma crudeli – Patty e Selma) destinate a far scattare l’effetto comico, è bene fermarsi sul ventaglio valoriale del protagonista e confrontarlo con quello dell’Ulisse di Omero.
Quest’ultimo porta con sé una morale fatta di rispetto, sete di conoscenza, astuzia, pazienza e nostalgia di casa. Homer, dal canto suo, è sbadato, ignorante, ha un’attenzione selettiva che mescolata alla gola lo porta a cibarsi dei suoi amici, è egoista e pressapochista.
Uno specchio dei difetti dell’uomo contemporaneo medio, in particolare quello americano, portato agli estremi. Ulisse aveva Penelope come faro per tornare a casa, sempre presente nei suoi pensieri lungo il viaggio, a differenza del suo corrispettivo in giallo che non appena tornato a casa pensa immediatamente ad andare a bere.
L’uomo contemporaneo sembra vivere un’Odissea quotidiana contro sé stesso, finendo per essere il proprio antagonista, colui che mette i bastoni tra le ruote ed impedisce la crescita personale ed il raggiungimento degli obbiettivi.

L’eroismo di Ulisse diventa allora irraggiungibile, e Homer non può essere altro che il simbolo dell’antieroe capace di cavarsela spesso per fortuna e mai per audacia. Ma è proprio stando tra i due che si può scegliere da quale parte andare: scoprire il mondo con sete di conoscenza o guardarlo attraverso la tv? La seconda? D’oh!

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