Ese l’idea della Divina Commedia fosse nata mentre Dante era a Forlì? Abbiamo provato ad immaginare come potrebbe essere andata!
La “Locanda dei pazzi” era sempre piena, non c’era da stupirsi qualora non si fosse trovato posto. Tutta in legno, illuminata da piccole lanterne dalla luce arancione, la locanda era dominata da una fitta coltre di fumo perenne, ragnatele e schiamazzi. Gli avventori erano di ogni tipo in questo piccolo angolo di libertà all’ombra di Porta Schiavonia, l’ingresso nord della città di Forlì. Si potevano trovare mendicanti, poeti, giullari, politici, gente di passaggio e personaggi ai quali mancava solamente la targa con il proprio nome sulla sedia dal tanto tempo trascorso seduti a sorseggiare il vino della casa o, per i più esotici, boccali di birra, tutti liquidi di pessima qualità ma perfetti per sfuggire dai pensieri, selezionati in prima persona dal locandiere Ludovico Servadei, detto “Strimbazzi”, per quella sua vecchia moda di inventarsi le parole.
Quella sera di inizio secolo tutti avevano notato il nuovo avventore fin dal suo ingresso in locanda: naso aquilino, fare austero e vestito con una lunga tunica rossa che lo Strimbazzi non aveva esitato a sottolineare: “We, cosa sei… caduto nella damigiana del vino? Sarai mica uno stibarone?!”
Per sua fortuna, il misterioso uomo trovò posto in una tavolata con tre sconosciuti che senza perdere tempo si presentarono: “Saluto buon uomo, io sono Paolo, il fabbro”, “Piacere, Celestino ‘e cunteden1” e, per ultimo, “V-v-v-v-virgilio, i-i-i-il lombardo” disse balbettando.
“Sì, il lombardo… può essere! Ma questo è il matto del paese, glielo dico io glielo dico!” intervenne Paolo. “Lei è…?”
“Dante, da Firenze”
“E la miseria! Da Firenze fino a qui? Non avete dove andare per bere là in Toscana?” chiese Celestino, scatenando l’ilarità del resto della tavolata.
“Dirovvi, ho avuto qualche problema in patria.” replicò Dante.
“Dirovvi? Sa sit uno Strimbazzi neca te?!2” urlò Paolo.
Neanche a farlo apposta, quasi come se fosse uscito da sotto il pavimento, sbucò proprio lo Strimbazzi per raccogliere l’ordinazione del nuovo arrivato: “Cosa le porto, straniero?”
“Nooo, no, no, no, no. Oggi il signore qui è ospite nostro. Vai di vino Strimbazzi!”
“Subito!” rispose il locandiere a Paolo, filando a riempire una bottiglia di rosso a testa per tutta la tavolata.
Sorso dopo sorso i quattro crearono un’armonia assurda e sorprendente, arrivando a parlare di qualsiasi cosa, talvolta abbassando la voce per gli argomenti più spinosi: “Sa, Dante, non si può mai sapere chi c’è qui intorno, può capitare chiunque, vè!” spiegò Celestino.
“P-p-p-p-p-p-p-però…” provò ad intervenire Virgilio, subito stoppato da Paolo, “Si, cosa sei? Una trombetta? Ma sta zèt3!”
Alla terza bottiglia di vino a cranio le parlantine si fecero più sciolte, anche se non riuscivano a seguire la stessa velocità dei pensieri.
I tre “padroni di casa” reagirono con entusiasmo alla notizia di quanto fosse caro a Dante il volgare, lasciandosi andare in rutti e risate che, per fortuna, si persero nel baccano di grida e fregnacce della “Locanda dei pazzi”.
Dante capì che la situazione gli stava sfuggendo di mano, la conversazione era stata piacevole, i commensali gentili e simpatici, ma l’altezza dei discorsi stava diventando incongruente con la scolarizzazione dei due romagnoli, persone buone, certo, ma un po’ troppo genuine per i suoi gusti.
Inoltre, doveva confessare che, seppur da buon toscano era amante del vino, aveva fatto davvero fatica a mantenere il ritmo di quei tre scapestrati che, senza troppe spiegazioni, salutò e ringraziò con un cenno della mano, dirigendosi in direzione della porta un po’ barcollando.
La brezza fresca della primavera notturna fu una salvezza. Chiuse gli occhi per godersela in tutto e per tutto e nella mente ripercorse tutte le immagini, i suoni e gli sgradevoli odori che aveva avvertito in quel girone infernale che aveva appena conosciuto. Tutto sommato, però, era colpito da uno strano sentimento: una sorta di attrazione nei confronti di quelle persone condannate a stordirsi per sopportare la quotidianità. “Locanda dei Pazzi” – disse leggendo l’insegna – “e posso capire il perché del nome. Dio solo sa cosa devono aver commesso in un’altra vita per tale contrappasso.”
Si incamminò verso nord, oltrepassando Porta Schiavonia, pensando che una bella camminata fosse quello che ci voleva per smaltire l’eccessivo numero di brindisi. Si fermò, così, a contemplare dall’alto il fiume Montone, sul cui letto gli sembrò di intravedere una piccola imbarcazione.
Incuriosito scese una piccola scalinata di fortuna, fatta di tronchi e pietre, addentrandosi in un oscuro sentiero costeggiante il fiume, che porta fino a Castrocaro.
Accelerò il passo, scostando rami e arbusti per inseguire con lo sguardo quello che, a tutti gli effetti, sembrava essere un vecchietto su una barca, condotta ad una velocità sorprendente, perlopiù controcorrente, quando all’improvviso rimase impietrito sentendo un verso aggressivo che, per fortuna, si rivelò essere solamente un gatto spelacchiato intento a fissarlo. In ogni caso, senza perdere tempo, Dante scappò il più velocemente possibile poiché le tenebre, seppur insidiate dalle prime luci dell’alba, erano capaci di rendere tutto molto più tetro.
Dopo qualche passò sentì rumore di passi veloci, scattanti, quasi innaturali ed ecco comparire dall’acqua una nutria fradicia e impaurita. Ci fu uno scambio di sguardi ma Dante continuò la sua corsa, girando la testa per essere sicuro di non essere inseguito dal roditore, quando un ultimo rumore sinistro proveniente dalle fronde lo sorprese.
Temendo di veder comparire una belva dagli arbusti si irrigidì di colpo, per poi lasciarsi andare ad una risata nervosa scoprendo un coniglio intento a scavarsi la tana.
Il vecchio sulla barca era ormai lontano. Dante poté rallentare il suo passo e prendere fiato. Il vino e la serata appena trascorsa sembravano ormai un lontano ricordo, coperto dalla vegetazione e dai rumori della natura.
Un’ultima sorpresa, però, era dietro l’angolo. Una figura poco più avanti di lui con il dito indice gli faceva segno di avvicinarsi. “V-v-v-vieni.”
“Virgilio? Il lombardo?”
Gli sembrava proprio lui. Allora, quello si mise in cammino e Dante lo seguì.
“Questa la devo raccontare. Quando torno a casa la scrivo… sì, quale casa.”
Fu il suo ultimo pensiero.
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[1]Il contadino
[2]Dirovvi? Cosa sei uno Strimbazzi anche te?
[3]Ma sta zitto!?