5 personaggi iconici della storia del cinema diventati arte

L’arte della moda” è un racconto approfondito e immersivo sulle influenze reciproche che arte e moda si scambiano da sempre, in particolare dall’epoca medievale in poi. Questo scambio non conosce confine artistico e non si limita alle arti classiche come scultura e pittura, ma permea anche attraverso le nuove arti nate nel 1900, prima tra tutte il cinema.

La settima arte, fin dai suoi esordi, ha fatto largo uso della capacità narrativa che hanno gli abiti, arrivando spesso a dettare le regole dello stile, grazie a costumisti dall’animo raffinato ed eclettico. Allo stesso tempo, la moda ha preso e regalato emozioni dal e al grande schermo. Numerosi stilisti hanno affiancato registi ed attori come consulenti di immagine; al contempo, la moda ha fatto tesoro degli insegnamenti del cinema portandolo sulle passerelle. E la magia è destinata a continuare.

I visitatori dell’esposizione forlivese potranno facilmente ritrovare questa magia osservando in particolare due testimonianze: l’abito femminile di manifattura siciliana datato 1855-1859, simile a quello indossato nell’iconica scena del ballo de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti del 1963. O ancora il Caftano di Gucci del 1969, indossato da Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani in “House of Gucci” uscito nel 2021.

I casi di capi indossati in lungometraggi che hanno fatto la storia, diventati poi icone, sono innumerevoli e per parlarne servirebbe un’esposizione a parte; qui, però, abbiamo voluto proporre una piccolissima selezione di cinque outfit passati alla storia, pur non indossati da Dive e Divi in senso stretto, grazie alla loro originalità e stravaganza, tali da ispirare il pubblico di tutto il mondo.

Consapevoli di dover escludere tanti, tantissimi personaggi diventati veri e propri simboli, ecco cinque capi iconici della storia del cinema più recente, diventati “opere d’arte” anche grazie a piccole, grandi curiosità.

Il bianconero di Crudelia De Mon (La carica dei 101, 1961)

A fare da “ponte” tra il divismo del cinema e questa selezione di freak, chi meglio di una diva/non-diva uscita dalla penna di Dodie Smith prima e dalla matita degli artisti Disney poi? Nonostante i suoi intenti per nulla nobili e insopportabilmente anti-animalisti, Crudelia è diventata in pochissimo tempo un’icona, sì, di avidità e malvagità, ma anche di vanità e stile, con scelte uniche e riconoscibili, tali da ispirare ancora oggi la produzione di lungometraggi dedicati a lei. Troviamo i suoi tratti tipici nella scelta dei colori, fino al sogno (censurabile) di vestire pellicce bianconere, e negli accessori, dalle borse all’inconfondibile bocchino per fumare la sigaretta. Se non è lei la più crudele e stilosa tra i villain, chi altro?

La distopia dei Drughi (Arancia meccanica, 1971)

Ancora prima delle terribili e violente spedizioni della prima parte del film, quello che viene immediatamente rievocato quando parliamo dei Drughi di “Arancia Meccanica”, film di Stanley Kubrick tratto dal libro di Anthony Burgess, è il loro inconfondibile e angosciante outfit.

Alex, Pete, George e Dim scorrazzano per la metropoli londinese con un completo total white, incluse bretelle e “conchiglia”, completato da bombette, bastoni e stivali neri. Elementi semplici e essenziali quanto potenti ed alienanti, pescati dalla costumista italiana Milena Canonero qua e là dalla moda inglese dell’epoca e che dall’anno di uscita del film influenzano giovani e gruppi sociali. Con loro la “moda cinematografica” esce dalla pellicola e arriva nelle vie della città: dalle bande di strada fino ad artisti musicali famosissimi come Led Zeppelin e David Bowie; tutti ispirati dai terribili drughi di Arancia Meccanica.

Il completo de Le Iene (Le Iene, 1992)

Passiamo dalla “semplicità eccentrica” dei Drughi a quella più tradizione de “Le Iene” di Quentin Tarantino: un classico completo nero con giacca e cravatta. Un elegante total black che rende sei temibili criminali (dai nomi colorati Mr. White, Mr. Brown, Mr. Pink, Mr. Blonde, Mr. Orange e Mr. Blue) dei veri e propri gentleman,almeno in apparenza!

Molto spesso non serve complicarsi la vita per creare icone di stile, basta puntare sulla semplicità…soprattutto se il budget è limitato come in questo caso.

L’essere “fuori dal mondo” di Leon e Mathilda (Leon, 1994)

È ancora la semplicità e la “moda quotidiana” a contraddistinguere una delle coppie più inedite del cinema, quella del sicario Leon e dell’orfana Mathilda: per lui una berretta ormai passata alla storia (con modelli che hanno preso addirittura il nome del protagonista), occhiali tondi scuri, lungo cappotto e bretelle; per lei short, maglia a righe, cappotto e poco altro. Senza dimenticare la pianta in vaso. Una scelta semplice, potente e immediata, in una parola? Iconica. Capi per far sembrare “normale” una coppia che, in realtà, è completamente fuori dal mondo. 

L’angoscia dei Tenenbaum (I Tenenbaum, 2001)

Il capolavoro di Wes Anderson del 2001 è diventato un kolossal e un punto di riferimento per gli “hipster” di tutto il mondo, ma non solo, grazie al cast ricco di nomi, alla preziosissima scelta musicale, ai drammi interiori dei personaggi che muovono la storia e, ultimo ma non ultimo, i look dei protagonisti. Si parte dall’iconica tuta Adidas di Chas e figli fino alla pelliccia di Margot, passando per i completi di Richie e le frange di Eli Cash. Una continua esplosione di colori più o meno accesi, capi d’abbigliamento che riprendono il passato ed altri che guardano alla contemporaneità in una continua eterogeneità che rispecchia la diversità e complessità dei personaggi, accomunati da un unico aspetto: l’angoscia interiore.

Per trasmettere il continuo senso di disagio che i protagonisti portano in scena lungo la trama, è interessante notare la scelta del regista di far indossare a tutti gli attori abiti di una taglia in meno. La Moda non è mai solo moda, ma un vero stato d’animo.

Chiudiamo con un piccolo fuori programma ad ulteriore dimostrazione di come la moda sia da sempre estremamente connessa alla società, sia come strumento che ne esercita l’influenza sia come specchio delle sue tendenze. Basti citare come la scelta di determinati outfit sia sempre più centrale anche nel mondo della nuova servilità televisiva, non solo orientandosi al passato (numerose le serie “in costume”, da Peaky Blinders a Bridgerton) ma creando nuovi universi d’immagine: la tuta da laboratorio gialla di “Breaking Bad”, quella rossa con maschera di Dalì (l’arte è sempre presente) de “La casa di carta” o quelle alienanti di “Squid game”. Con le serie TV la moda diventa ancor di più un fenomeno generazionale. Il consenso delle nuove generazione diventa fondamentale per la moda così come la intendiamo oggi, ossia espressione di una società mobile. 

La potenza dell’arte non ha tempo. Quella della moda, neppure. 

Messe insieme creano un mix pirotecnico di messaggi destinati a plasmare l’immaginario di tutti noi. Ce lo ha insegnato la storia, narrata nelle sale de “L’arte della moda” al Museo Civico San Domenico di Forlì, e lo vivremo in futuro; in un racconto che, per fortuna, non è destinato a finire.

Approfondisci la mostra: L'arte della moda

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