“PER SPECULUM…” L’IMMAGINE DELL’INVISIBILE

Gli studi sull’autoritratto – ci ricorda James Hall – tendono ad attribuire scarsa importanza al Medioevo. Il genere, come tale, non è ancora sorto. Pur non potendo parlare di una forma autonoma e naturale del ritratto, la letteratura attuale ha documentato una forte presenza della coscienza del ruolo dell’artista. La fisiognomica della tarda antichità, per la quale il carattere di una persona può essere dedotto dai tratti del volto, era stato messo in questione dall’idea neoplatonica e poi cristiana che la vera misura dell’uomo, del suo essere è l’anima immortale e invisibile, non il corpo visibile e corruttibile.

Nell’arte, il ruolo e il protagonismo individuale sono identificabili attraverso simboli, gesti, posizioni della figura, parti o dettagli del volto, che tuttavia affiancano e accompagnano una lenta ripresa del naturale.

L’atto della confirma grafica assume nei codici aspetti specifici, non meno legati al ruolo dell’arte e al suo mercato che all’alfabetizzazione dell’artefice e del suo pubblico. Il nome del pittore, del miniatore, dell’orafo, dello scultore o dell’architetto appare come dato non isolato, all’interno di iscrizioni di solito a carattere votivo. Tale prassi segue l’affrancamento dell’artefice dal ghetto delle arti meccaniche e le sue successive fortune di magister e si afferma con progressione crescente, pur non giungendo ad assumere un carattere normativo.

L’eccezionalità – per fattura e datazione: il VII secolo – del manufatto romanico-nordico di Novara, qui esposto, lo dimostra. Lo scultore si rappresenta in abiti da lavoro con nella mano destra l’ascia, mentre il braccio sinistro è piegato ad arco sul fianco in un gesto di orgogliosa esibizione.

Oltre che con la parola scritta, l’affermazione della titolarità dell’opera si manifesta anche attraverso la modalità figurativa: all’interno di un codice è inserita un’autorappresentazione. Tale immagine o ritratto può essere associato alla grafica del nome. Un’operazione che rivendica il ruolo dell’artista e che si protrae nel tempo. Ne sono esempio il De mulieribus claris di Boccaccio, illustrato da Jacobus Philippus da Bergamo, e il Nobilissimorum clarissime originis de Malatestis regalis historia di Frate Leonardo.

Durante il Medioevo gli specchi diventano forti simboli culturali, metafore di ogni tipo di conoscenza. Se il volto è scrittura dell’anima, il ritratto ne è la parte visiva. E se l’anima è concepita come lo specchio di Dio (imago Dei), allora immagine esteriore e immagine interiore ne conservano il disegno. Il tema dello specchio (il vetro riflettente è del XIII secolo) e del volto specchiato divengono centrali nel Medioevo. Il rapporto tra il Creatore e la creatura divengono simboli persino espressivi del ruolo dell’artista, che è creatore, e della sua opera, che è creazione, specchio della manifestazione divina e del creato.

La ripresa del mito ovidiano di Narciso, qui illustrato nei due preziosissimi codici del Romain de la Rose (Vaticano e gallese di Aberystwyth), ripropongono il tema del rispecchiamento. L’immagine accompagna la parola e istituisce la relazione tra visibile e dicibile. 

Lo specchio diventa forma dell’opera o linguaggio decorativo. Il dipinto su tavola di Zanino di Pietro, espressione del Gotico fiorito centro-italico, presenta una perfetta soluzione a specchio. All’interno della composizione esiste una marcata simmetria che coinvolge le figure dei santi sulle ante laterali, i quali reggono una croce penitenziale e un cartiglio. Croci e cartigli disegnano reciproche corrispondenze formando uno specchio mistico.

Il Messale del Card. Domenico della Rovere, illustrato da Marmitta, contiene 61 raffinatissime miniature istoriate, in forma di tabelle rettangolari o medaglioni specchiati, posti nel margine inferiore dei fogli, caratterizzate da splendide cornici di gusto rinascimentale.

Il Libro d’ore esposto (proveniente da Torino, Palazzo Madama) è un superbo e raro esemplare di Simon Marmion, pittore e miniatore di origine francese, attivo nelle regioni francesi della Piccardia e dell’Hainaut. Le raffinatissime miniature richiamano l’immagine su tavola, e attestano la conoscenza delle opere di Roger van der Weyden. La corrispondenza tra il ruolo dell’artista e la figura rappresentata stabilisce una corrispondenza tra chi sta dentro l’immagine e chi sta di fronte all’immagine. Questo dialogo celeste è il vero tema dei dittici dipinti e dei libri d’ore.