Umane passioni e natura ideale nel mito seicentesco
Con il passaggio dal Cinquecento al Seicento e alla temperie barocca l’interesse per i testi omerici crebbe notevolmente, in particolar modo per l’Odissea e i suoi protagonisti. Anche sulla scorta della fortuna della moderna epica cavalleresca dell’Orlando furioso e della Gerusalemme liberata, le trame avvincenti del viaggio di Ulisse tornarono a sollecitare fortemente l’immaginazione degli artisti. Come nella pittura da cavalletto, anche nell’affresco le vicende dell’Odissea trovarono un certo successo. Nella grande decorazione l’atto d’inizio di questa moda rinnovata, al passaggio dal vecchio al nuovo secolo, è rappresentato dagli affreschi del camerino di palazzo Farnese a Roma, realizzati da Annibale Carracci tra 1595 e 1597 per volere del cardinale Odoardo. Nelle intenzioni di Fulvio Orsini, bibliotecario di casa Farnese artefice del programma iconografico, le due lunette dedicate a Ulisse (al suo incontro con le sirene e con Circe) si intrecciavano al tema di Ercole in una fitta rete di rimandi allegorici che alludevano alle virtù del committente. Sulla scorta dei Carracci e del camerino Farnese le Storie di Ulisse furono affrescate anche in terra emiliana, dal Guercino in casa Pannini a Cento (1615-1616; oggi, staccati, alla Pinacoteca Civica di Cento: è esposto in mostra il riquadro con Circe che restituisce forma umana ai compagni di Ulisse).
I temi ulissiaci riscontrarono molta popolarità anche nel mondo fiammingo. Nelle Fiandre fu Pietro Paolo Rubens a inaugurare la mania di Ulisse con una serie di dipinti a soggetto omerico, tra cui l’Ulisse nell’isola dei Feaci: un saggio superbo di pittura di paesaggio in cui il rimando all’eroe greco diventa una sorta di pretesto figurativo per affrontare il genere paesistico in termini ideali, come nella Marina con Ulisse ricevuto dalle figlie di Licomede di Lorrain. Nel solco di questa moda inaugurata da Rubens si collocano i molti dipinti di ambito nordico esposti in questa sala, alcuni dei quali veri e propri capolavori.
Documentano l’ossessione nei confronti dell’Odissea che avvinse anche le Fiandre.
Ripercorrendo la fortuna dell’Odissea nel corso del Seicento si resta però davvero colpiti dalla quantità di opere che hanno trattato la figura di Circe. È come se il secolo delle scienze – il secolo di Galileo – avesse paradossalmente riscoperto il potere avvincente, misterioso e iniziatico del mondo della magia. Se risale al Cinquecento l’inizio della fortuna delle figure femminili dell’Odissea, in parallelo al dilagare della passione per il mondo fantastico di Ariosto e Tasso, soprattutto nell’ambito della corte fiorentina di Francesco I e di Cosimo I de’ Medici, fu soltanto con il Seicento che questa ossessione si focalizzò sulla figura di Circe, diventando letteralmente dilagante. Sconfinò addirittura nel mondo dei tessuti, come attesta l’arazzo enorme e prezioso compiuto da Geraert van der Strecken su disegni di Jacob Jordaens molto probabilmente in occasione delle nozze tra Carlo Emanuele II di Savoia e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours avvenuto a Torino nel 1665. Nell’ambito di questo interesse per un mondo di matrice letteraria fatto di mistero e di enigmi una certa fortuna ebbe anche Calipso. Ne è testimonianza il piccolo ma prezioso rame di Cornelis van Poelenburch, in cui la figlia di Atlante, raffigurata nuda di spalle mentre tende la mano a Ulisse per raccoglierlo dalle acque, diventa addirittura una salvatrice.