Dei ed Eroi

LE FORME NEOCLASSICHE DEL MITO

Il Parnaso, affrescato nel 1761 da Mengs su una volta di villa Albani a Roma, è considerato il manifesto del Neoclassicismo sia per il suo programmatico rigore formale, ispirato all’antico, nell’evidente ripresa dell’Apollo del Belvedere, sia perché la celebrazione delle Muse appare come l’invito a esplorare con un nuovo impegno morale i territori del mito e della storia in polemica con il disimpegno della pittura Rococò. I poemi omerici hanno rappresentato una inesauribile fonte di ispirazione per lo stile, la forza e la nobiltà dei loro contenuti. Ancora prima della diffusione della riforma neoclassica, un artista che la ha anticipata come Batoni ha esaltato, rappresentandone la fuga da Troia, la pietà filiale di Enea che porta in salvo il padre.

Rispetto ai tradizionali temi dell’Odissea emergono quelli relativi al recupero dei legami familiari con il ritorno di Ulisse a Itaca. Un grande rilievo assumono le vicende di Telemaco, non solo quelle narrate nella cosiddetta Telemachia, il viaggio alla ricerca di informazioni sulla sorte del padre che occupa i primi quattro canti, ma anche quelle amplificate ne Les aventures de Télémaque di François de Fénelon. Questo famoso romanzo di formazione, pubblicato nel 1699, godrà di uno straordinario successo sino alla prima metà dell’Ottocento, diventando una fonte per moltissimi pittori, come nel caso di de Favanne e della Kauffmann.

Rispetto alle peripezie del viaggio, relative a personaggi antagonisti come Circe che viene progressivamente a perdere dell’interesse goduto nei secoli precedenti, prevale il faticoso travaglio anche morale del ritorno a Itaca, annunciato nei due episodi trattati nel 1755 da Bottani che li ambienta nello spazio nostalgico di due vasti paesaggi ideali.

Ma a questo punto entra in scena la figura di Penelope, che, individuata come esempio di fedeltà e virtù, diventa la “deuteragonista” dell’Odissea in molti dipinti della Kauffmann, ma anche nello straordinario notturno di Wright of Derby. Pure la commovente vicenda della nutrice Euriclea che riconosce il padrone ha conosciuto una certa fortuna, come dimostrano ancora la Kauffmann e Fabre, destinata consolidarsi nell’Ottocento romantico.

Ma a questo Neoclassicismo sentimentale, basato sull’esaltazione degli affetti familiari attraverso un registro formale caratterizzato dalla grazia, si contrappone quella ricerca del sublime che, anticipata da Barry quando si è raffigurato come Ulisse nella caverna di Polifemo insieme a Burke il teorico appunto della categoria estetica del sublime, troverà nell’eccentrico Füssli un interprete straordinario. I personaggi e le vicende dell’Odissea diventano occasione per esplorare i territori dell’irrazionale, specchio di un’umanità tormentata che si interroga sul proprio destino come nell’episodio privilegiato di Ulisse nell’Ade che chiede a Tiresia il suo futuro.

Un altro grande interprete del mondo omerico è stato Hayez, quando ha rappresentato l’atroce ed eroica fine di Laocoonte o di Ajace, o quando ha preferito rendere la commozione di Ulisse alla narrazione di Demodoco sulla guerra di Troia. Collegato invece al momento del ritorno è emerso a inizio Ottocento, nell’ambito del Neoclassicismo eroico ispirato a David, l’episodio di Ulisse e Telemaco che uccidono i pretendenti, diventando oggetto di uno sfoggio di anatomie e gesti esemplari per la pittura delle Accademie.