Tra ideale e reale
LO SPIRITO DELLA NUOVA ITALIA
Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, Giovanni Segantini e Francesco Paolo Michetti figurano da grandi protagonisti, insieme a Giuseppe Pellizza da Volpedo, tra i cantori delle nuove aspirazioni nazionali.
L’ancoraggio della loro pittura alla tradizionale semplicità del mondo contadino e alle bellezze incontaminate delle Alpi (Segantini) e degli Appennini (Michetti), per quanto restituite con linguaggi sperimentali che superano il naturalismo ottocentesco riportando l’arte italiana ai livelli europei, garantisce ai due artisti un grande successo nell’Italia umbertina in cerca di immagini, scenari e situazioni in cui riconoscersi.
Più di ogni altro è D’Annunzio a decifrare in tutte le sue complesse implicazioni la portata della rivoluzione estetica condotta senza tentennamenti da questi due pittori, affidata a un coinvolgimento panico nella natura in cui l’essere e il creato si fondono in un’unica entità. Nella lettura di D’Annunzio, si riconosce e si esalta in Segantini la naturale ricerca della luce. Per lui Segantini è l’uomo nei cui occhi, “umili e degni ove s’accolse l’infinita bellezza”, “tutte le cose furono come una sola cosa / abbracciata per sempre dalla sua silenziosa / potenza come dall’aria”.
Contemporaneamente anche in Italia, come nel resto d’Europa, si afferma il Simbolismo. A Roma assume una forma congeniale alla cultura ufficiale per i suoi precisi richiami formali alla tradizione antica, al Quattrocento di Botticelli e poi al Cinquecento di Michelangelo. Di questa tendenza, che assieme al Divisionismo si consegna al nuovo secolo, il grande alfiere è Giulio Aristide Sartorio.