Il mito dell’Italia

LA PITTURA DI STORIA

Seguendo l’esempio di Hayez, che resterà vitale per tutto il secolo, la pittura di storia non ha perso il suo primato rispetto agli altri generi, nonostante sia stata messa in discussione da movimenti sperimentali come quello dei Macchiaioli.

Dopo l’unità d’Italia, la pittura di storia diventa un formidabile strumento di creazione, attraverso la rappresentazione e l’idealizzazione di un passato comune, dell’identità nazionale. Eccezionale strumento di costruzione della mitografia della nazione in un paese che restava drammaticamente diviso su un piano culturale, economico, sociale e amministrativo. La sua forza, che ne ha consentito l’incredibile sopravvivenza anche con l’avanzare della “modernità”, è stata l’aspirazione a creare una lingua “nazional popolare” compresa da tutti. Un linguaggio di grande fascino che nel nuovo secolo si trasferirà nel linguaggio cinematografico.

Grazie a questi dipinti monumentali, di cui offriamo con questa mostra l’occasione di riscoprirne la bellezza, l’immaginario dell’Italia appare dominato, almeno sino alle soglie delle Grande Guerra, dai miti dell’antica Roma, del Medioevo e del Rinascimento identificati come il vertice più alto raggiunto dalla civiltà italiana. Dante, celebrato come il fondatore e il garante dell’identità e dell’unità nazionale, è stato una chiave privilegiata per rappresentare e esaltare la nostra civiltà. E poi i valori dei liberi Comuni in lotta con l’Impero che troveranno nel vate moderno Giosuè Carducci un cantore appassionato.

I tre capolavori, posti nel grande scalone, sono l’esempio di come la pittura di storia, dopo la fine della stagione romantica, abbia saputo mantenere intatta la sua forza di coinvolgimento verso un pubblico sempre più numeroso, proveniente da tutta Italia, che frequentava le grandi Esposizioni Nazionali.

Vediamo anche come essa abbia saputo affrancarsi persino dalle regole e dalle convenzioni accademiche, da cui rischiava di rimanere soffocata, per sperimentare nuove modalità della rappresentazione, mantenendo intatta tutta la capacità narrativa.
Di questa diversità dei linguaggi in cui si è espresso e rinnovato il genere, offrono una testimonianza significativa questi tre monumentali e impressionanti dipinti. I loro autori, differenti per indole, estrazione e formazione, hanno una visione del passato e un modo di interpretarlo del tutto personale. Ancora fedele all’eredità romantica, con suggestioni che rimandano ad Hayez, a Delaroche e a Leighton, è il veneziano Molmenti, che ha reso la passione estrema dell’Otello shakespeariano, assurto a nuova fama grazie a Rossini e a Verdi, con una messa in scena impressionante, anche per la tensione realistica.

Ritroviamo la stessa tensione, seppur espressa con uno stile alquanto diverso, nella commovente riflessione sui risvolti umani della storia, nel dipinto Le ultime ore della libertà senese di Aldi. Mentre una potente carica visionaria domina la sconvolgente tela di Previati, Cesare Borgia a Capua, dove l’originale linguaggio sperimentale, che trasfigura le forme investendole in un turbine di luce, sembra scandagliare gli abissi più oscuri della storia e dell’animo umano.