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Tra agiografia e ritratto

NELLA PROSPETTIVA UMANISTICA DEL QUATTROCENTO

L’intitolazione alla Maddalena di chiese e di altari è causa del diffondersi di immagini, isolate o inserite in opere agiografiche di contenuto più vasto, come appare evidente nei capolavori di Mariotto di Nardo e in Lorenzo d’Alessandro. Nella santità esibita, il processo di identificazione con la Maddalena costituisce una delle vie di conversione indicate ai fedeli: secondo una diffusa devozione per figuras, nel XV secolo e nei successivi le signore commissioneranno opere in cui la santa apparirà con i loro tratti somatici.

Il modello della penitente convive, lungo il Quattrocento, con la potente figura dell’apostola, segnata dalla coscienza del dramma della Croce. Prevale la figura della mirrofora. Lo studio dell’antico, che presta alle figure votive la monumentalità aulica delle divinità classiche, come in Perugino e in Luca Signorelli, fornisce parametri anche formali, aulici e sublimi, per l’espressione del dolore. L’umanizzazione del sacro ha fatto il suo corso. Il linguaggio è oramai lontano dall’Oriente bizantino. L’autonomia iconografica è piena. All’alba del Rinascimento, la Maddalena è spesso ritratta come una nobildonna d’epoca, con una gestualità più misurata e un abbigliamento raffinato. La grazia cortese filtra il dolore. E se gli occhi gonfi di pianto emettono gemiti in Giovanni Bellini, in una sofferenza muta trasferita dai personaggi all’osservatore, in Carlo Crivelli, Bartolomeo Vivarini e Pietro Alamanno, la preziosità degli ornamenti lasciano già intravvedere le sembianze di una cortigiana.

Un’opera “pura e sanza ornato”

Affrontando un soggetto che ben si presta a forzature simboliche e espressive, Masaccio non rinuncia a professare la propria fede nei confronti di un linguaggio “puro sanza ornato” al servizio di una rappresentazione coerente e credibile della realtà. Ecco allora che per realizzare la figura di Gesù, dalla fisicità tutta umana enfatizzata dalla luce, Masaccio tiene conto di vari fattori – la posizione rialzata rispetto ai dolenti e ancor di più rispetto all’osservatore, la naturale caduta in avanti della testa nel corpo esanime – scegliendo una visione scorciata che rende invisibile il collo.

Assente nella prima stesura della tavola napoletana, la figura della Maddalena è stata infatti sovrapposta alla base della croce; si tratta dunque di un ripensamento, ma di livello sublime, un’aggiunta che innalza un’opera già densa di realismo ed espressività verso le più alte vette dell’arte. All’indimenticabile figura vista da tergo toccano diversi ruoli: inginocchiata di tre quarti e con l’apertura delle braccia come un sestante proietta lo spettatore nella scena, accentua la profondità della composizione e ne diventa il fulcro, relazionando tutte le figure in un abbraccio dalla geometria ben misurabile malgrado il fondo oro. Al contempo, con il suo primordiale e istintivo gesto proteso verso l’alto e con i fili dorati dei capelli sparsi sull’acceso arancio-vermiglio della veste, la figura pare crescere come una fiamma, e certo fa salire la temperatura emotiva del dipinto, lasciandoci però soltanto immaginare il grido silente e la smorfia di dolore.

Masaccio interpreta uno dei soggetti più rappresentati fra Gotico e Rinascimento creando qualcosa di apparentemente semplice, ma mostrandoci il frutto di una grande operazione critica intesa a riformare la pittura. Ciò fu possibile solo attingendo direttamente alla più pura fonte giottesca e “seguitando sempre quanto poteva le vestigie di Filippo e di Donato” (Vasari).

Come è stato spesso evidenziato, per ritrovare esiti veramente paragonabili in un soggetto analogo bisogna aspettare la cimasa del Polittico della Misericordia di Piero della Francesca, a conferma – se mai ce ne fosse bisogno – della folgorante modernità del maestro di San Giovanni Valdarno. Col suo miracoloso equilibrio fra Giotto e Piero della Francesca illustra come pochi altri le tendenze innovative della pittura, anzi, della cultura italiana in una delle sue più eroiche e affascinanti stagioni.