La figura del dramma.
Dalla persona dei Vangeli al personaggio dell'arte
Dapprima la crocifissione. Poi la deposizione. Maddalena è presente, come attestano i primi racconti e come l’arte, nel contesto del proprio tempo, ne ha dato differente testimonianza. Sono qui raccolte alcune eccezionali rappresentazioni artistiche della sua viva presenza nel momento del dramma misterioso che ne segna la vicenda umana. Dal giottesco Mello da Gubbio, all’inedito crocifisso ligneo di Andrea della Robbia, al grande dipinto di Federico Barocci (che chiudendo il Rinascimento apre a Rubens e a Reni), al capolavoro ottocentesco di Mosè Bianchi. Poi le deposizioni di Benozzo Gozzoli e di Raffaellino del Colle, e la serie dei compianti dipinti di Polidoro da Caravaggio, Tiarini, Luca Giordano.
Al centro, alcune sculture quattrocentesche, a grandezza naturale, animano lo spazio architettonico. La via emiliana, che celebra la terracotta policroma, oltre e talora al posto del marmo, non dimentica il patetismo popolare delle sacre rappresentazioni della Passione. Ma con Nicolò dell’Arca, Guido Mazzoni e Vincenzo Onofri, l’arte supera l’evocazione teatrale. I gruppi plastici diffusi nel XV secolo e oltre rompono le regole della compostezza in modo “espressionistico” (secondo la definizione di Hermann Bahr), fondendo assieme la reazione disperata degli astanti (soprattutto la Maddalena) e la pienezza corporea delle figure. L’urlo muto e il pianto ininterrotto delle statue esprimono l’umana rivolta contro la morte: male esistenziale, storico, metafisico. È lo spazio del dramma, il luogo del naufragio dell’umanità del Figlio di Dio, dove il dolore umano riempie quello spazio, aperto e vuoto, dalla terra fino al cielo.
La Maddalena incarna la persona di quel dramma. Il Compianto ferrarese di Guido Mazzoni (prima del 1485), qui confrontato con una copia secentesca, dipinta da Francesco Carboni, della perduta Crocifissione di Ercole de’ Roberti, ne è testimonianza. Giorgio Bassani, ne Il giardino dei Finzi-Contini (1962), ne ha tratto, nel contesto della tragedia ebraica narrata, un momento di commovente giustappunto: “La Chiesa appariva deserta (…). La mia attenzione era stata subito attratta da una specie di strano assembramento di persone immobili e silenziose (…). Chi erano? Come avevo potuto rendermi conto non appena ero arrivato a distanza sufficiente, non si trattava di persone vive, bensì statue (…). Erano per l’appunto quei famosi “Pianzún d’la Rosa” davanti ai quali da bambino mi aveva condotto tante volte la zia Malvina, l’unica zia cattolica che possedevo. Guardavo anche adesso la scena atrocissima: il corpo livido e misero del Cristo morto, disteso sulla nuda terra, con attorno, impietriti in muti gesti, in mute smorfie, in lacrime che non avrebbero mai avuto né termine né sfogo di grida, i parenti e gli amici accorsi”.
Una presenza che mostra un’assenza. Una vicinanza che indica una lontananza. Un’apparizione che evoca una partenza. Dopo la sepoltura, qui figurata dal capolavoro di Batoni, le due tele, poste a confronto, del “Noli me tangere” rimandano all’annuncio della Resurrezione. Storia misteriosa e controversa fin dalle traduzioni della frase che Gesù risorto dice a Maria Maddalena, la prima persona cui egli appare: “Noli me tangere” (Giovanni 20,17). La versione latina è stata resa per secoli con: “non mi toccare”, mentre il greco preferisce: “non mi trattenere” (“mē mou haptou”).
Tra Tiziano e Veronese, lo Scarsellino celebra nel suo capolavoro gli esiti formali del Cinquecento. È un mattino radioso, il cielo terso e luminoso che fa da sfondo all’incontro tensionale, pieno di movimento interiore, tra la Maddalena e il Cristo, da lei riconosciuto solo quando lui la chiama per nome. La donna si avvicina nel commosso desiderio di riabbracciarlo. Il Cristo, grazie al contrappunto della lieve torsione del busto, sembra appena ritrarsi. Le vesti elegantissime di lei, i bagliori dorati che fanno risaltare i biondi capelli lunghi, rimandano a Veronese, mentre ricordi tizianeschi sembrano caratterizzare gli incarnati. Gesù è coperto solo dal sudario e si appoggia con naturalezza alla zappa, richiamando il modo dei guerrieri nelle statue antiche, appoggiati alla lancia.
Con Alessandro Allori la figura della Maddalena ha percorso l’intero tratto che separa la figura storica dal personaggio, la presenza reale dalla rappresentazione. Da sola, non è più sotto una croce raffigurata al vero, con figure al vero, o a contatto diretto col corpo di Gesù, ella lo contempla attraverso il simulacro di un crocifisso. Stilisticamente, mentre l’estrema precisione del disegno e la luminosità cristallina che scivola sulle pieghe degli abiti rimandano a Bronzino, la ricchezza della cromia e l’eleganza della figura superano l’austerità della Controriforma per restituirci una nuova figura di donna. Non più gesti impetuosi, nessun patetismo, bensì la quiete di un animo rinnovato, secondo i versi del Salmo 32, da lei letti: “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno”.