L’eterno nel tempo

All’aprirsi del nuovo secolo, Roma, che già in vista del solenne Giubileo del 1600 si era affollata di artisti provenienti da tutta Europa, diviene teatro di esperienze assai diverse tra loro, destinate a fruttare negli anni successivi. Il comune denominatore è dato dall’urgenza di offrire all’arte sacra soluzioni meno dogmatiche e anzi tali da spezzare il diaframma che l’aveva fino a quel momento separata dall’esperienza del vivere quotidiano, con le sue necessità e i suoi problemi.

Dopo l’arte “senza tempo” di Scipione Pulzone e seppur in modi differenti, Annibale Carracci, Rubens e Caravaggio, rappresentati in questa sezione da alcuni altissimi capolavori, sono accomunati dall’intenzione di calare la dimensione dell’Eterno “nel tempo”.

Nella Pietà, dipinta da Annibale intorno al 1604 e ora a Capodimonte, il modello di Michelangelo appare vivo e operante grazie alla nuova vita conferitagli mediante lo studio condotto sulle opere del Correggio e di Tiziano.

Già barocca è invece l’Adorazione dei pastori di Pieter Paul Rubens. Dopo un breve soggiorno a Venezia, l’innesto dei modi di Tiziano e Tintoretto sulla sua cultura d’origine lo aveva portato ad accelerare il dinamismo delle composizioni e ad avvolgerle in colori rutilanti. Attratto entro un vortice di colori e di luci, lo spettatore non ha più l’impressione di assistere a una raffigurazione, ma ne è come risucchiato così da diventarne protagonista.


Nelle opere sacre di Caravaggio il racconto è provocatoriamente rivissuto nel presente e di conseguenza spogliato del “decoro” richiesto a una meditata ricostruzione in termini storici, mentre lo stesso ruolo ricoperto dalla dimensione religiosa nella vita dell’uomo rifluisce in una dimensione propriamente interiore.

I due capolavori esposti in questa sala (il Sacrificio di Isacco e la Madonna dei Pellegrini) raccontano di una dimensione dell’Eterno vissuta e interpretata nel tempo, raffigurata attraverso la tragica e livida luce della storia (o delle storie quotidiane); del tentativo di scorgere nella forma dell’ombra un riflesso della luce divina.