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L’elaborazione di nuovi modelli a Bologna

Allorché venne eletto vescovo di Bologna il 30 gennaio 1566, il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597) si trovò a operare in una città profondamente segnata dalla presenza dello Studio, da lui stesso frequentato, e già orientata a divenire un importante centro di produzione artistica. Bologna si era dimostrata aperta alle più varie esperienze, abbracciando dapprima il raffaellismo e accogliendo poi l’attività del Parmigianino. Dopo il passaggio di Vasari (1539-1540) e di Girolamo Siciolante (1548), il suo definitivo decollo nell’ambito della Maniera era tuttavia avvenuto grazie alla concomitante presenza intorno al 1550 di Pellegrino Tibaldi e di Nicolò dell’Abate. I loro modelli si riverberano sulla formazione di Orazio Samacchini e Lorenzo Sabatini, entrambi protagonisti di significative esperienze vaticane.

Troppo condizionato dalla propria formazione umanistica per trincerarsi in un’oltranza censoria o per condannare aprioristicamente gli aspetti di maestria che fanno di un dipinto un’opera d’arte, Paleotti aveva di fatto avviato un fertile scambio d’intesa con gli artisti locali. Sarebbero stati semmai gli stessi pittori, sempre più arroccati su posizioni corporative, a trarre vantaggio dal controllo ecclesiastico per fronteggiare sgradite invasioni di campo da parte di pericolosi concorrenti: un aspetto che segna i tumultuosi esordi dei tre Carracci (Ludovico e i cugini Agostino e Annibale). La scuola dei Carracci è una scuola modernizzante che prelude, con Annibale, a un rinnovato ritorno alle raffinate forme classiche e con Ludovico agli esiti naturalistici successivi che conducono a Caravaggio.