L’arte “senza tempo”

La felice formula «arte senza tempo» venne coniata da Federico Zeri, nel suo Pittura e Controriforma, proprio per caratterizzare la pittura di Scipione Pulzone, soprattutto quella di soggetto religioso. Ma per la ricostruzione di quella eccezionale figura di artista, Zeri partiva naturalmente dalla sua produzione in veste di ritrattista, alla quale era legata prima di tutto la sua fama presso i contemporanei, e già nel primo capolavoro a lui riferibile, il Ritratto del cardinale Giovanni Ricci, lo studioso individuava le caratteristiche precipue del suo stile, adottato poi naturalmente anche nelle opere di soggetto sacro. Si trattava infatti di quel particolare tipo di ritratto nel quale “le caratteristiche fisiche della persona effigiata vengono fissate ed esaltate in modi di estrema minuzia, e in una messa in posa rigidamente aulica, quasi ieratica, che sottrae la figura alla mutevole condizione dell’atto momentaneo e dell’instabile riflesso dello stato d’animo […] Il risultato finale è che la persona rappresentata, senza perder nulla dei suoi tratti fisionomici, ritorna ai nostri occhi sotto una nuova specie, immutabile e fuori dall’azione del tempo.”

Tutta la produzione pittorica di Pulzone è stilisticamente così omogenea e compatta da tradire sempre, in ogni momento, questa ricerca di obiettività e iconicità, quasi il maestro avesse da subito messo a punto una formula linguistica del tutto personale. Questa soluzione, fredda e icastica, sarebbe stata messa a punto dal maestro di Gaeta in un dialogo serrato con il padre gesuita Giuseppe Valeriano nella perfetta «arte senza tempo» al servizio della Chiesa cattolica.