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La pala d’altare come “Biblia Pauperum”

Dopo il concilio di Trento la pala d’altare diviene l’oggetto sul quale si concentrano le attenzioni dei vescovi riformatori e, in quanto libro degli illetterati (Biblia pauperum), si carica dei precetti propri dell’ars oratoria: innanzitutto d’insegnamento (docere), ma anche di coinvolgimento emotivo (movere). Tradotto nel linguaggio della pittura una tale intenzione si presta ad assecondare le ricerche più diverse. Così l’eredità del Rinascimento trova a Roma un interprete d’eccezione in Girolamo Siciolante, egli dà vita a grandi pale in cui la chiarezza narrativa si accompagna al gusto per superfici lustre, quasi metalliche.

Dal canto suo Girolamo Muziano, giunto da Brescia nel 1550, porta nell’Urbe le seduzioni del dipingere veneto e le innesta su forme turgide nelle quali la deferenza nei confronti di Michelangelo si declina con un’inedita attenzione per il racconto sacro. Ma che questa non sia l’unica strada percorribile è dimostrato qui dalle magnifiche pale dipinte intorno al 1585 dal fiorentino Jacopo Zucchi in cui le complicate pose dei protagonisti e il luminismo acceso mirano a coinvolgere lo spettatore in un gorgo visivo di grande spettacolarità.