Fragili muse della Bella Époque

Fin dal 1884, quando aveva ereditato la ricca clientela di John Sargent e, soprattutto, grazie all’appoggio di Robert de Montesquiou, Boldini si era conquistato una fama di eccezionale ritrattista, capace di catturare la magica “complicità della carne e della stoffa”. Nel momento del massimo successo della ritrattistica femminile europea e americana, in quella Parigi tutta proustiana che aveva aperto il secolo con le luci elettriche della Grande Esposizione Universale, nell’atelier di Boldini avevano sfilato le donne più celebri e ammirate del tempo, professioniste della bellezza programmaticamente abbigliate nelle creazioni dei grandi couturier, in molti casi scelte dall’artista. Con Boldini, altri artisti, come Lavery, De Servi, Bonzagni, Gordigiani, Tito saranno protagonisti di questa rappresentazione mondana.

“Fragili muse” le ha chiamate lo scrittore Patrick Mauriès. In questa iconostasi moderna figuravano Lina Cavalieri, Franca Florio, la marchesa Casati e la più dannunziana di tutte: Eleonora Duse. Il desiderio di diventare opere d’arte viventi aveva spinto molte di queste protagoniste a esplorare un nuovo ruolo creativo attraverso una continua metamorfosi dell’abito e del corpo, “indossando” identità passate fatte rivivere attraverso abiti eseguiti appositamente da Worth, Poiret, Fortuny.

Il bel mondo italiano ed europeo, tra teatri e ricevimenti, si presenta come una fantasmagoria di immagini femminili, di corpi femminili laccati nel colore di abiti che li contengono e li esibiscono, di corpi e di volti che conquistano il rango di ‘essenze’ della modernità in quanto ormai diventati immagini. Il sogno dorato della Belle Époque – tra Simbolismo, Liberty e Art Nouveau – in quell’intreccio tra arte e vita, che passava attraverso il travestimento, il teatro, la messa in scena, svanì con la Grande Guerra.