###Content

dal 23 Febbraio al 29 Giugno 2025

Museo Civico San Domenico Forlì

Piazza Guido da Montefeltro

Rompere con le costrizioni formali dell’abbigliamento borghese. Questo il comandamento nuovo. Il Futurismo rivolge da subito il suo interesse al mondo della moda e al modo di vestirsi, inteso come espressione di un gesto artistico che coinvolge la sfera sociale, politica e culturale della modernità. Come scrive Ardengo Soffici, per i futuristi “la moda è il rivestimento esterno, visibile dell’arte”, “l’abito fresco e fiammante onde si veste, di stagione in stagione, la bellezza immutabile”, ma anche l’atmosfera in cui respirano i talenti creativi di un’epoca: “essere alla moda vuol dire essere moderni. E chi non è alla moda e moderno è fuori dall’arte viva”.

“Si pensa e si agisce come si veste”, sostiene Giacomo Balla, il quale considera il vestito non solo un accattivante objet d’art, ma anche un vero e proprio esercizio di comunicazione, un linguaggio colorato e poli-sensoriale. Nel manifesto da lui dedicato nel settembre del 1914 a Il vestito antineutrale (a pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia), l’artista prende le distanze dall’aspetto “desolante, funerario e deprimente” del costume maschile, che da un secolo rappresentava l’etica del lavoro e la credibilità dell’uomo borghese.

Se il Divisionismo (cfr. qui il Ritratto di Carlo Manna, di Boccioni) è il presupposto della tecnica della pittura futurista, il suo compimento consiste nella piena scomposizione, nel dinamismo e nella compenetrazione dei soggetti e delle cose. “Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente”. Esemplari sono qui le opere di Balla, Depero e Pippo Rizzo.

Proto-fashion designer, prima ancora di proclamarsi futurista, Thayaht inizia nel 1919 a collaborare saltuariamente con Madeleine Vionnet e, dal 1922, stipula l’esclusiva con la Maison parigina delle sue creazioni di couture.