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Vergine madre, figlia del tuo figlio

VEDERE L’INVISIBILE

L’ultimo canto della Commedia (e non solo del Paradiso) si apre con la preghiera che San Bernardo rivolge alla Vergine affinché sia concessa a Dante la grazia di vedere Dio. La Commedia si chiude proprio nel momento in cui non è più possibile la relazione strutturale di fondo tra invenzione e visione, tra l’esperienza mistica dello scriba e quella estetica del poeta. Qui sono le chiavi di lettura dell’intera opera. Ne ha fatto tesoro la critica novecentesca a partire da Auerbach, che interpretando il libro dantesco sotto il segno dell’Incarnazione ha colto in senso figurale la dimensione storica della poesia dantesca, la sua concretezza sensibile.

«Vergine madre, figlia del tuo Figlio, / Umile ed alta più che creatura, / Termine fisso d’eterno consiglio». Così inizia con quella incredibile concentrazione semantica l’invocazione. Dopo la visione d’insieme del bozzetto-capolavoro di Tintoretto sul Paradiso, la preghiera di San Bernardo è qui evocata anzitutto dal quadro di uno dei maggiori artisti danteschi: Luca Signorelli, che ha affrescato nella chiave figurativa della Commedia il suo Giudizio ad Orvieto. Il santo è colto in una scena di sospensione tra scrittura e contemplazione. Acclarato è ancora il riferimento a Dante della prima Pietà scolpita da Michelangelo (quella Vaticana, qui presente in un gesso storicizzato). In Matteo di Giovanni, il verso di Dante è dipinto nell’aureola dell’immagine della Vergine. La vergine consolatrice di Bouguereau fonde in sé gli stilemi di Raffaello e di Michelangelo e sa rendere come pochi nel suo tempo l’intensità del dramma umano. Ancora una madre e un figlio. Il figlio esangue, la madre riversa su Maria. Una madre come Maria.

Per concludere con la Trinità di Lorenzo Lotto. «Luce etterna che sola in te sidi». Trinità immanente (raffigurata da Dante nella forma di tre cerchi di luce), e Trinità rivelata. «Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume riflesso … dentro da sé, dal suo colore stesso, / mi pareva pinta della nostra effige: / per che ‘l mio viso in lei tutto era messo».
Lotto ha dato vita a un’incredibile innovazione pittorica. Il Cristo frontale, raffigurato come redentore, il risorto, è dipinto secondo il modello iconografico delle pietà e mostra le piaghe della crocifissione. Discende e ascende in un cielo di nubi luminose, sopra un paesaggio meraviglioso, avvolto nei vapori del mattino. Nel rovesciamento dello schema luministico, la luce proviene dall’ombra di luce del Padre, alle spalle del Figlio, la figura di Cristo comunica la figura dell’uomo in cielo. «Nostra effigie». Figura dell’uomo che Dante cerca in Dio. Dio nell’uomo, l’umano in Dio.