Tra la perduta gente

L’INFERNO DI DANTE

Gli inferi dei greci e del mondo orientale sono all’origine delle successive concezioni dell’inferno. La mitologia classica è ricca di rappresentazioni e di viaggi agli inferi. Esiodo e Omero ne parlano diffusamente. Tiresia, Achille e Ulisse vi fanno visita; Eracle ci va a liberare Teseo; Dioniso sua madre Semele; Admeto riesce a far fuggire Alcesti; Orfeo fallisce disperatamente con Euridice. Ade è la destinazione di tutti. E la descrizione è pessimistica: «Ad Ade toccarono le fosche tenebre», è detto nell’Iliade. «Era una folla che veniva da ogni parte intorno alla fossa, levando grida portentose, e io fui preso da verde orrore»: dice Ulisse nell’Odissea.

Il suo aspetto misterioso diviene adatto a svolgere il tema di un giudizio che c’è dopo la morte. Secondo Eschilo, Zeus «punisce i morti per i delitti che hanno commesso». Opinione condivisa da Pindaro, Sofocle, Aristofane. Più critici i filosofi. Alla morte consegue un giudizio per Platone. Il giudizio ha un significato giuridico e morale. Aristotele nega l’esistenza degli inferi. Anche Cicerone e Seneca, nel mondo latino, concludono per la non esistenza ultraterrena. La figura degli inferi assume un valore allegorico per la vita umana. Lucrezio, nel De rerum natura, traspone i miti infernali nella vita terrena, nell’angoscia di vivere.

La creazione virgiliana, con l’Eneide, istituisce in chiave anche politica il rapporto comportamento-reato e disegna una rappresentazione triforme dell’aldilà. Tra i beati dell’Eliseo e i dannati del Tartaro, sono tristi e infelici le vittime della vita. Dante, che sceglie Virgilio come guida nei primi due regni, ne assume la tradizione, rivisitandola profondamente alla luce di quella cristiana (biblica soprattutto, ma con diverse concessioni alle figurazioni patristiche e alle letture medievali dei testi apocrifi).

La sezione presenta alcuni importanti esempi danteschi. Feyen-Perrin, nella sua opera giovanile La barca di Caronte, riprende l’impianto figurativo drammatico di Géricault e Delacroix, conferendovi elementi di genere. Tra le ultime opere di Mehus, Dante e Virgilio all’Inferno, attesta un’attenzione ancora creativa per i temi danteschi alla fine del Seicento. Jan Bruegel il Vecchio, con il suo Concerto di Orfeo ci mostra una sintesi tra i diversi modelli infernali: un soggetto classico inserito in un contesto figurativo e concettuale nordico-cristiano. Nel quadro prevalgono tonalità scure e colori primari per evidenziare l’oscurità e la tristezza dell’inferno. Neppure l’armoniosa melodia dell’arte musicale è in grado di modificare o lenire le sofferenze dei dannati.