Quella sozza immagine di froda

Demoni e mostri

Nell’Inferno dantesco i diavoli della tradizione biblica (gli angeli ribelli) hanno una presenza importante, ma numericamente limitata. Più insistita è fin dall’inizio la presenza di figure provenienti dal mondo classico. Caronte, Minosse, Cerbero, Pluto, Caco, Flegias, Minotauro, Gerione, Anteo. Di tutti, Dante varia la fisionomia accentuandone la dimensione mostruosa e animalesca. Molti di essi, come Caronte e Minosse, sono tratti dall’Eneide virgiliana, ma Dante ne accentua la funzione (giudici, guardiani), e la metamorfosi fino a farne l’allegoria della colpa cui sono preposti.

Oltre a Minosse, che abbiamo incontrato all’inizio, tre sono i mostri qui presenti: Minotauro, Gerione e Caco. Accanto a loro il demone Alichino.

Nel passaggio dal sesto al settimo cerchio, dove sono puniti i violenti, svolge la funzione di guardiano, scelta che consente a Dante di citarne la storia, il Minotauro: «l’infamia di Creti era distesa / che fu concetta ne la falsa vacca: /e quando vide noi, sé stesso morse, / sì come quei che l’ira dentro fiacca. (Inf. XII, 12 – 15). Metà uomo e metà toro (Dante inverte le due metà rispetto all’antico), il Minotauro era nato dall’unione della regina di Creta, Pasifae, moglie di Minosse, con un toro bianco.

Gerione è a guardia dei fraudolenti: «e quella sozza imagine di froda / sen venne, e arrivò la testa e ‘l busto, / ma ‘n su la riva non trasse la coda. / La faccia sua era faccia d’uom giusto, / tanto begni avea di fuor la pelle, / e d’un serpente tutto l’altro fusto; / due branche branche avea pilose insin l’ascelle» (Inf. XVII, 7 – 13).

Tra i serpenti che tormentano i ladri, Dante vede comparire un centauro, Caco, che punisce il pistoiese Vanni Fucci per il suo gesto violento contro Dio: «e io vidi un centauro pien di rabbia / (….) Quante bisce elli avea su per la groppa /Maremma non cred’io che tante n’abbia, (…) Sovra le spalle, dietro da la coppa, / con l’ali aperte li giaceva un draco» (cfr. Inf. XXV, 17 – 24).

Prima di diventare il celebre soggetto della Commedia dell’Arte, Arlecchino è stato una figura orrifica (già documentata nell’XI secolo) che richiama terribili scenari infernali. Dante lo inserisce nella Commedia (Inf. XXI, 118 – 123). Alichino è compreso nella decina di diavoli al seguito di Malacoda. Picasso, nella definizione del suo Arlecchino-folle, ritrae l’abisso esistenziale dell’uomo contemporaneo.