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La gloria di colui che tutto move

LA VISIONE DEL PARADISO

La terza cantica fa riferimento fin dai primi versi al modello paolino. Ma mentre San Paolo tace della visione del suo raptus celeste, Dante, per investitura profetica di Beatrice nel Paradiso terrestre e di nuovo nel Paradiso e per conferma del suo avo Cacciaguida («tutta tua vision fa manifesta»), non può scegliere il silenzio.

Agisce spesso in questa cantica, quale parte classica associata al modello biblico, il mito ovidiano. Gli episodi e i personaggi narrati da Ovidio sono spesso usati da Dante (narratore o protagonista) in prospettiva figurale. Ne è un esempio l’invocazione iniziale ad Apollo, il dio antico invocato come figura del Dio cristiano, che mantiene la propria identità seppur in un disegno rovesciato: mentre Marsia abilissimo suonatore di flauto aveva sfidato la divinità e patito la terribile punizione, Dante ne invoca l’aiuto.

L’Apollo di Pompeo Batoni, evitando il riferimento a Marsia e alla sua pena, e recuperando l’armonia della classicità evoca per noi le arti come disegno dell’universo. Seguono la salita al cielo della Luna di Dante e Beatrice di William Dyce, con quella elegante soluzione verticale dell’elevazione e la scelta di colori vividi e non chiaroscurali che restituiscono, nell’immediatezza del segno pittorico, una luce piena. L’animo puro e innocente di Piccarda, che Dante incontra nel III canto, affiora nel busto neo-quattrocentesco di Giovanni Bastianini; mentre la violenza del suo rapimento dal convento di Santa Chiara, (ove aveva preso i voti), da parte del fratello Corso (nemico di Dante), emerge con toni melodrammatici e fatali nel dipinto di Raffaello Sorbi.

Dopo questo inizio, la sala ordina e raggruppa poi per grandi capitoli i canti del Paradiso, fino al XXXII: gli spiriti sapienti del IV cielo; il patriarca Mosè e il Battista («quel Giovanni che prender vuoli») che son tra coloro più vicini a Dio; la creazione della luce e la creazione del mondo; il sacrificio di Cristo e la redenzione; l’esame della fede cui Dante è sottoposto da parte di Pietro, Giacomo e Giovanni; le gerarchie angeliche.

Tra i capolavori, alquanto numerosi, di questa sala, occorre menzionare il ciclo di tre dipinti dedicati a San Francesco: Cimabue, Giotto e Antoniazzo Romano. Quella di Cimabue è tra le immagini medievali più celebri del santo e forse una delle più vicine alla concezione che Dante aveva della scelta e dello stile di frate Francesco. Di particolare bellezza la tavoletta di Giotto, di gusto maturo, ma non tardo, che delinea nella fusione cromatica, nella morbida resa pittorica un’immagine naturale del santo. Al culmine della sua vicenda spirituale (l’esperienza della marginalità dall’ordine vissuta a La Verna) e le stimmate («Da Cristo prese l’ultimo sigillo») il Francesco di Antoniazzo.

E ancora il Mosè che infrange le tavole della Legge di Guido Reni, qui raffigurato, di fronte all’idolatria del suo popolo, nell’istante irato prima di scagliare le tavole della Legge. La monumentalizzazione della figura che prende l’intero spazio pittorico e la teatralizzazione della scena ne fanno un ritratto di eroismo spirituale, che focalizza un Mosè nel ruolo di tramite tra Dio e il suo popolo, così come suggerisce Dante nel XXVI canto: «Io ti farò vedere ogni valore».

Un inno alla luce è La creazione della luce di Gaetano Previati. Una pittura fatta di vibrazioni iridescenti resa attraverso una gamma cromatica che accosta intonazioni di giallo e di violetto. Accanto: La creazione del mondo di Antonio Canova, opera tra le ultime dell’artista, segna l’inesausta ricerca sperimentale, soprattutto nei bassorilievi. La sua vocazione morale si fa qui religiosa e i modelli toscani del Quattrocento aggiungono pathos alla forma.

Nei disegni di Michelangelo per Vittoria Colonna, la versione della Pietà, più volte ripresa in copie, incisioni e dipinti (qui Clovio, Bonasone, Venusti), diviene addirittura ideogramma verbale della visione dantesca. La citazione apposta lungo il tronco della croce nel disegno per la marchesa di Pesaro è il verso 91 del XXIX Canto del Paradiso: «Non vi si pensa quanto sangue costa». Il disegno evidenzia il legame tra creazione e redenzione, attestato dai due angeli e dalla postura del corpo di Maria. Per finire le gerarchie angeliche (Troni e Principati) di Guariento da Arpo.