Io non morì e non rimasi vivo

DI FRONTE AL MALE ASSOLUTO

Nel nono cerchio dell’Inferno, nel lago ghiacciato del Cocito, nel punto più lontano da Dio, Dante pone distintamente in quattro cerchi concentrici coloro che hanno perpetrato il delitto maggiore: quello contro la divinità nell’uomo, i traditori di carità: i traditori dei congiunti (posti nella Caina); i traditori della patria (nella Antenòra, dove è Ugolino); i traditori degli ospiti (nella Tolomea); i traditori dei benefattori (nella Giudecca). Al centro c’è Lucifero stesso (un tempo il suo nome evocava la stella del mattino), che nelle sue tre bocche (la triplice morfologia del male è figura antitrinitaria) maciulla in eterno i traditori per eccellenza. Tutto è gelo. Dai suoi occhi escono lacrime di ghiaccio e non c’è parola.

Dalla fine del Quattrocento, dove ancora in ambiente nordico si avverte l’influsso tardomedievale, le raffigurazioni infernali e demoniache _segnatamente quella di Lucifero_ non hanno più a che fare con l’aldilà oggettivo, quanto piuttosto con gli abissi del male presenti negli uomini. Già in Bosch (in una linea che proseguirà con Bruegel fino a Goya) si assiste a un rigoroso spostamento dell’inferno nell’aldiqua: le figure continuano a rimane imprigionate nel proprio modo di vivere e le pene ne sono l’ossessiva riproposizione. Anche il popolare Doré esprime qualcosa di molto più abissale e spaventoso della semplice illustrazione della Commedia. E Rodin, sul finire dell’Ottocento, immagina la sua Porta dell’Inferno come minaccioso, irrimediabile tramonto della bellezza rinascimentale di ispirazione michelangiolesca. I personaggi di Munch sono abitati dal demone della paura e dell’angoscia. Il cielo e l’inferno sono all’interno della mente umana. Infine, Beckmann, Dix e Picasso metteranno in scena l’apocalisse del Novecento: l’inferno della guerra e dello sterminio di massa.

L’intensità della figura del Lucifero di Franz von Stuck, che qui esponiamo, emerge dalle tenebre con lo sguardo gelido e terribile. La figura richiama direttamente quella del Pensatore che Rodin ha inserito nella Porta dell’Inferno. Anche Caino di Trentacoste manifesta la stessa derivazione iconografica. La figura racchiude sia una natura ferina sia una umanità chiusa in sé, prigioniera del rimorso. Il Bruto di Gemito è una rilettura dell’antichità classica risolta in una figura quasi animalesca di un corrucciato e pericoloso ragazzo di strada. Infine Giuda iscariota di Schneider: una figura possente, di stampo classico, avanza calpestando i trenta denari che gli bruciano i piedi. Rovi spinati, rosseggianti di sangue avvolgono e imprigionano la figura. I suoi passi intersecano la croce. Il rimorso incatena l’uomo per sempre, in una lotta invincibile contro il male presente nell’animo umano.