Il culto civile

DAL RISORGIMENTO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Foscolo, Leopardi e Mazzini consegnarono alla cultura letteraria italiana la figura di Dante come padre della patria. Nella sfera delle arti visive emerse più lentamente la lettura identitaria del poeta. Questo accadde a partire dagli anni quaranta dell’Ottocento, quando, nell’Italia delle lotte risorgimentali, iniziarono a susseguirsi una serie di dipinti che enucleavano momenti esemplari della biografia dantesca.

Il Dante di Giuseppe Bertini, dipinto nel 1845 per un concorso dell’Accademia di Brera, dice a Ilario: «frate ecco l’opra mia, forse da te non veduta. Questa ricordanza ti lascio: non obliarmi». Il poeta esule – che questa volta incita il signore di Forlì, Scarpetta Ordelaffi, a muovere contro Firenze – torna anche nel dipinto di Pompeo Randi del 1854, come in quello di Domenico Petarlini (Dante seduto in riva all’Adriatico) ancora pervaso da slanci romantici. In chiave risorgimentale si leggono anche i Funerali di Buondelmonte di Francesco Saverio Altamura, presentato all’Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861. Dall’assassinio di Buondelmonte nella Pasqua del 1215 era nata a Firenze l’aspra divisione tra Guelfi e Ghibellini. Sempre nel 1861, Giovanni Dupré scolpisce i due busti di Dante e Beatrice quali protagonisti del Panteon della Nazione

Dagli anni cinquanta, l’interpretazione patriottica di Dante, grazie alla scoperta nel 1840 di un ritratto di Dante, attribuito a Giotto, nella Cappella del Podestà al Bargello, e agli scritti di Pietro Selvatico, si trovò spesso intrecciata alla figura di Giotto, altro «grande italiano», fino a creare il mito di un loro sodalizio artistico (Dante presenta Giotto a Guido Novello, di Giovanni Mochi). In quest’ottica, nel 1865, per il VI centenario della nascita del poeta, Vincenzo Vela scolpì le statue di Dante e Giotto per la Loggia Amulea di Prato della Valle.

Il tema patriottico è affrontato in termini originali da Eugenio Agneni, pittore-soldato espatriato esule a Parigi nel 1852. La “schiera infinita d’immortali” che avevano fatto grande la patria, ricordati da Leopardi, vagolano sotto il portico degli Uffizi e scacciano lo straniero. Al centro campeggia Dante.

Il secolo dell’unità d’Italia pone al centro il riconoscimento di Dante, proponendolo quale personaggio simbolo dell’unità (politico-linguistica) della nazione, avviando un percorso di rappresentazione celebrativa nelle piazze.

I grandi gruppi monumentali realizzati finiranno per essere assai meno dei concorsi celebrati o degli innumerevoli busti, ma tuttavia rimarranno come testimonianza significativa di questo passaggio civile e politico.

E’ Firenze ad avere la primogenitura, fin dall’avvio nel 1818 della sottoscrizione per il cenotafio da dedicare al poeta nella Chiesa di Santa Croce. Realizzato dallo scultore neoclassico Stefano Ricci, il monumento venne inaugurato nel 1830. Con il 1865, Firenze capitale, e le celebrazioni per il sesto anniversario della nascita, l’epopea risorgimentale di Dante si compie definitivamente. Firenze fa inaugurare al re la statua di Enrico Pazzi, collocata al centro di Piazza Santa Croce. Qualche ora prima Verona aveva scoperto la sua, di mano dello scultore Ugo Zannoni. Nel giugno Ravenna aveva collocato le spoglie ritenute del poeta nella tomba settecentesca. Ancora nel 1965 Padova, con Vincenzo Vela. Poi Mantova (Pasquale Migliorini) nel 1871; Napoli lo stesso anno (Tito Angelini) e Trento con il monumento di Cesare Zocchi, inaugurato nel 1896.

I bozzetti qui esposti, a cominciare da quello di Paolo Troubetzkoy, non furono realizzati. La scultura di Troubetzkoy, molto originale, partecipò al concorso del 1891 per il monumento trentino, ma non vinse. La soluzione adottata è del tutto anticonvenzionale, viene infatti eliminata la tradizionale distinzione tra basamento e scultura e la figura assume un carattere puramente simbolico.

La scultura di Alfonso Canciani, che fu tra i soci fondatori della Secessione viennese, apre al Novecento e a una stagione nuova di celebrazioni, sottolineando una visione lineare e totalizzante. Con la Prima Guerra mondiale, Dante torna ad essere il simbolo della speranza e del sacrificio della Nazione, come attestano i due capolavori di Felice Casorati che chiudono questa sezione.