Dante illustrato dal Trecento al Cinquecento
LA FORTUNA PRIMA DAI MANOSCRITTI AI RITRATTI
Il Dante illustrato inizia a diffondersi assai presto, pressoché a ridosso dell’uscita della Commedia dalle mani del suo autore, senza che a noi sia giunto alcun originale, e si intreccia con quella dei primi commenti. I primi manoscritti miniati si diffondono già a metà e alla fine degli anni Venti e poi lungo il decennio successivo. La mostra propone come più antico manoscritto quello attribuito a Pacino da Buonaguida (1335) e il manoscritto di Niccolò di ser Sozzo (ante 1362) della Biblioteca Medicea Laurenzia. Due autentici capolavori. Accanto ad alcuni altri eccezionali esemplari successivi (Maestro degli antifonari padovani, Artista dell’area padana) che attestano le diverse scuole pittoriche del Trecento. Accanto ad alcuni incunaboli del Quattrocento, una sequenza di opere a stampa a partire dal Quattrocento fino alle edizioni del Landino (1497) e di Vellutello (1544).
La sezione è introdotta da alcuni preziosissimi codici che appartengono alla formazione di Dante e alla sua prima fortuna. Dal Liber figurarum di Gioachino da Fiore (metà del XIII sec.), al Roman de la Rose (della Biblioteca Apostolica Vaticana) della fine del XIII sec., al Tesoretto e Favolello di Brunetto Latini.
Parte a sé fanno i ritratti di Dante, che tra il Quattrocento e il Cinquecento si diffondono un po’ ovunque, soprattutto in area Toscana. Dante è compreso tra gli «Uomini illustri», genere figurativo che assume nella cultura umanistica carattere paradigmatico. La fama storica del personaggio, la sua eccellenza nel mestiere delle armi, nell’esercizio dell’autorità civile e nella gloria culturale sono la cifra che caratterizza il genere iconografico.
Il ritratto a figura intera che Andrea del Castagno realizza su commissione di Andrea Carducci _ il primo ritratto di Dante nel Quattrocento _ lo vede accanto a Boccaccio e a Petrarca. Collocato sulla soglia di una porta, col piede destro e la mano sinistra sembra voler emergere dallo spazio della rappresentazione ed entrare nel nostro; a significare che la grandezza storica della sua figura esercita autorità e magistero tali di varcare ogni epoca. Accanto a Dante, il ritratto di Boccaccio, di cui esponiamo qui il Trattatello in laude di Dante. L’accostamento, oltre a ricreare la disposizione originale, sottolinea, oltre alla fortuna del poeta, quella di un’epoca.
A Jan van der Straet (Giovanni Stradano), Luigi Alamanni, nobile fiorentino impegnato sul finire del Cinquecento nell’edizione della Commedia dell’Accademia della Crusca (1595), conferì l’incarico di realizzare un album di disegni a soggetto dantesco. Il progetto non venne tuttavia portato a termine e solo un’incisione può essere collegata alla serie richiesta, mentre di altri disegni danteschi dell’artista, l’Alamanni venne in possesso solo in seguito. Tra il 1587 e il 1588, all’Accademia Fiorentina di Alamanni, il giovane Galileo Galilei pronunciò un discorso sulla collocazione della città di Dite, difendendo l’interpretazione del fiorentino Antonio Manetti contro quella del lucchese Alessandro Vellutello. Fu verosimilmente in quell’occasione che Jacopo Ligozzi, Lodovico Cigoli e lo stesso Stradano furono chiamati a fornire dei disegni che illustrassero le considerazioni dello scienziato.
I fogli danteschi di Stradano sono rappresentativi dello stile tardo dell’artista, che nel 1584 era rientrato definitivamente a Firenze dopo soggiorni a Napoli e nelle Fiandre. La grande attenzione per gli intensi giochi luministici, le tecniche impiegate e la modalità di costruzione dell’immagine sono infatti tipiche di questa fase: dopo aver stabilito la composizione generale, spesso tramite schizzi a penna, Stradano procede con grande sicurezza per strati sovrapposti, tracciando un primo disegno a pietra nera che veniva poi ripassato, con ulteriori dettagli, a penna; la resa del contrastato chiaroscurale era poi affidata alle pennellate di inchiostro diluito e alle lumeggiature a biacca. I dannati sono raffigurati nudi, seguendo la suggestione del Giudizio di Michelangelo, e l’Inferno quale luogo desolato mostra pochi riferimenti spaziali; gli unici riferimenti sono spesso i tratti di ciglio rupestre e l’acqua dei fiumi infernali.
L’elemento naturalistico è praticamente assente, fatta eccezione per i casi in cui è essenziale alla narrazione, come nella selva dei suicidi e nella scena in cui Dante e Virgilio attraversano la porta infernale, addentrandosi in un antro cavernoso e lasciandosi alle spalle la selva. In quest’ultima immagine Stradano dispiega, invece, tutta la sua maestria nella resa del dato naturale e del paesaggio.
Mentre a Firenze Stradano era coinvolto, a vario titolo, a far disegni danteschi per le accademie, un altro grande artista, Federico Zuccari, chiamato nel 1585 dal re Filippo II di Spagna per la decorazione della basilica e del monastero dell’Escorial, si accingeva autonomamente ad illustrare le tre cantiche della Commedia.
Se sino ad allora, nei manoscritti istoriati e nei libri a stampa, l’apparato illustrativo era stato posto in posizione ancillare al testo, sia nelle scelte rapsodiche degli episodi, sia nell’illustrazione dell’intera storia narrata dal poeta (come nel caso di Botticelli, dove il disegno occupa il recto della pagina del testo dantesco), Zuccari inverte il ruolo tra parola e immagine, attraverso la selezione degli episodi del racconto e l’utilizzo delle terzine e delle annotazioni di commento a corredo della singola tavola. In linea con questa concezione è il titolo Dante historiato, con cui è nota l’intera serie: 28 tavole dedicate all’Inferno, 49 al Purgatorio e 11 al Paradiso. La selezione delle terzine porta a focalizzare l’attenzione sul significato del raggiungimento della virtù spirituale da parte di Dante nel suo metaforico viaggio ultramondano, con un chiaro intento pedagogico.
L’artista sceglie di affidare lo sviluppo narrativo principalmente ai disegni, nei quali l’uso di differenti tecniche, le molteplici soluzioni compositive e i vari registri stilistici adottati riflettono il mutare della lingua, delle atmosfere e del contenuto nelle tre cantiche. Con l’intento di riprodurre la continuità del percorso dantesco, Zuccari sceglie di rappresentare in un’unica tavola vari episodi di uno o più canti; questa soluzione, nell’Inferno e nel Purgatorio, coincide con la riproposizione – all’interno della medesima immagine – delle figure di Dante e di Virgilio, che scandiscono dunque la sequenza degli eventi.
Per restituire in modo più efficace e incisivo le descrizioni, Zuccari ricorre spesso a originali espedienti visivi; nell’ Incontro con Caronte, ad esempio, la luce rossastra prodotta dal terremoto è suggerita dalla presenza delle fiamme sulla sinistra. La barca piena di anime di Caronte, sempre nella stessa scena, contiene invece un esplicito riferimento al Giudizio di Michelangelo. I cupi paesaggi del mondo dei dannati – in cui si ritrovano chiare tangenze con gli affreschi da lui realizzati in Santa Maria del Fiore – sono restituiti con l’uso combinato della pietra nera e rossa; se con la prima vengono definiti i fondali e le architetture, la seconda è utilizzata per delineare principalmente le figure, le fiamme e il sangue. La bicromia consente di rendere al meglio lo strazio causato dai castighi eterni e i forti contrasti di luce e ombra.
L’uso contrastato del chiaroscuro è abbandonato nel Purgatorio dove, tramite il ricorso alla penna, si delineano atmosfere più lievi e chiare che manifestano la presenza della luce. Le complesse composizioni della seconda cantica restituiscono lo scorrere del tempo e il senso dell’ascesa verso il Paradiso. Le sei scene dell’Eden sono realizzate prevalentemente a pietra rossa, come a preparare e ad anticipare le atmosfere della terza cantica. In quasi tutti i fogli del Paradiso, infatti, il pittore ricorre a tale tecnica, che gli consente di restituire appieno la luce divina e il dissolversi del tempo e dello spazio fisico.