Dante e l’autorità degli antichi

La cultura classica ha in Dante una particolare funzione di testimonianza laica, accreditata per la lunga tradizione. Essa assume un ruolo magisteriale e di consenso proprio in quanto tradizione. «Autoritade» non è altro che un «atto d’autore», sostiene Dante nel Convivio (IV, 6, 2-5), e un atto d’autore è un atto degno di fiducia. Ma la vera novità di Dante, in questa relazione, è che egli pone allo stesso livello autori cristiani e autori classici pagani, riconoscendo autorità alle scritture pagane non meno che a quelle cristiane.

L’atteggiamento di Dante è preceduto da almeno un paio di secoli di recupero della tradizione antica, ma la sua modernità sta nel fatto che egli ha coscienza dell’emergere di una cultura laica che pur non sganciandosi ancora dalla tradizione ecclesiastica più riformatrice, si avvia oramai su posizioni anticuriali. In secondo luogo, le basi su cui Dante procede non riguardano più solo autori dell’antichità classica il cui pensiero era stato accostato per prossimità filosofica al pensiero cristiano (Seneca, Virgilio, Aristotele), come accadeva per la Scolastica, ma il metodo: nonostante alcuni limiti culturali (Dante non conosce il greco), egli è interessato a risalire al pensiero originale, a documentare storicamente come si è formata la loro autorità. In questo egli darà un contributo fondamentale alla loro recezione nel pensiero cristiano e al consolidamento della loro stessa autorità.

Tra i tanti autori che Dante cita _ alcuni dei quali conosciuti sommariamente _ ve ne sono alcuni che diventano per lui fondamentali. Tra essi particolarmente Virgilio, Cicerone, Seneca, Ovidio, Stazio e Aristotele. Il confronto con Virgilio e la sua opera è fondamentale per la struttura del racconto della Commedia e per la definizione della lingua poetica di Dante. Ed egli ne dichiara il debito fin dal primo Canto dell’Inferno: «Or sei tu quel Virgilio e quella fonte / che spandi di parlar sì largo fiume?». «Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore, / tu se’ solo colui da cu’ io tolsi / lo bello stilo che m’ha fatto onore» (Inf. I, 79 – 87).

La sezione di mostra presenta una ricchissima gamma di ritratti. Da un lato, una vera e propria sequenza di ritratti virgiliani (mito nel mito, assieme a Dante, lungo i secoli, dall’antichità all’Ottocento), che ne documentano lo sviluppo della fortuna; dall’altro le effigie (capolavori originali dell’antichità) degli autori cui Dante ha fatto maggiore riferimento nella formazione del suo pensiero e nella stesura delle sue opere.