Amor, c’ha nullo amato amar perdona

PAOLO E FRANCESCA

L’immaginario moderno è dominato dalla vicenda, potentemente rievocata nel canto più popolare dell’Inferno, degli amanti perduti dall’eterna forza dell’amore: Paolo e Francesca. Essi sono divenuti i protagonisti di una mitologia moderna travolgente e trasversale, alla pari di quella degli shakespeariani Giulietta e Romeo.

Le opere qui esposte si possono considerare tra gli esempi più significativi della frequenza con cui sono stati rappresentati, sia nelle diverse fasi del loro incontro con Dante e Virgilio nella bufera infernale, sia nell’evocazione della loro fatale passione terrena, sublimata nel momento culmine del bacio. Alla fine del Settecento il tema, diversamente da quello del conte Ugolino, ormai consolidato nell’ambito del neoclassicismo, aveva fatto solo una periodica comparsa. La fortuna dei due amanti esplode e appartiene in particolar modo all’età romantica, per percorrere tutto l’Ottocento e approdare, con la magnifica interpretazione di Gaetano Previati, al Simbolismo.

Mentre la scena del bacio viene risolta in un’atmosfera cortese, con risvolti spesso convenzionali, la creatività dei pittori privilegia e si concentra nella rappresentazione, che sembra risentire ancora delle suggestioni del sublime del tardo neoclassico, dei due amanti ancora uniti nell’ “aere maligno” di quel girone infernale dove attestano la potenza travolgente dell’amore. Dopo i significativi precedenti italiani di Nicola Monti, Vitale Sala e di Sigismondo Nappi, i cui dipinti furono messi a confronto in un concorso bandito nel 1823 dall’Accademia di Brera a Milano, vengono liberati e diffusi i temi romantici. Il soggetto ha avuto la sua consacrazione in chiave sentimentale in un capolavoro della pittura romantica, esposto da Ary Scheffer al Salon del 1835, spesso replicato e da cui derivano le interpretazioni di Frédéric-August Bartholdi, di Giuseppe Frascheri e di Mosé Bianchi. Mentre alla fine del secolo, il tenebroso dipinto di Victor Prouvé costituisce una vorticosa evocazione dell’atmosfera infernale, nella quale emergono esplicitamente le oscure inquietudini del Decadentismo

“La bocca mi baciò tutto tremante”. Un libro, un abbraccio, un bacio

Francesca è forse l’unica figura tra quelle collocate da Dante nell’Inferno che sono state salvate dalla storia successiva. Dal primo Bacio di Giuseppe Cades (1759), spontaneo e senza Gianciotto, al Sogno primaverile di Previati (1912), trascorre un secolo e mezzo. Un tempo nel quale le contaminazioni artistiche, letterarie e musicali sulla storia e le figure di Paolo e Francesca hanno come stabilito una forte disgiunzione tra il peccato della lussuria e il loro amore. Se Dante alla condanna formale del peccato aveva accompagnato la sua forte partecipazione emotiva alla vicenda («tu allor li priega per quello amor che i mena»), chiamando amore il sentimento dei due, la storia successiva assolverà passione e sentimento, legittimando la loro storia e addebitando la colpa all’inganno di un matrimonio combinato.

Già Flaxman, nelle sue tavole del 1793, aveva introdotto, con un rivoluzionario flashback disegnativo, la contemporaneità espressiva tra il bacio fatale e l’incontro con i due poeti, tra il passato e il presente, e in quella corrispondenza aveva proposto Francesca, pur attraversata da un lieve e pudico pentimento, in tutta la sua intatta e raffinata bellezza.

In quasi tutte le raffigurazioni grafiche e pittoriche successive tra Otto e Novecento il passaggio tra la figura di Francesca «peccatrice» alla figura di Francesca «eroina dell’amore romantico» diviene progressivo e costante. Anche la letteratura _ da Byron a Shelley, a Keats, a Foscolo, a Pellico, a D’Annunzio _ vi prenderà parte. Per Foscolo, già prima del suo Discorso sul testo della Commedia, «la colpa è purificata dall’ardore della passione, e la verecondia abbellisce la confessione della libidine». E la compassione è l’unica musa. «Pallide le dolci labbra che baciai» nel sonetto di un immedesimato Keats.

Quanto all’arte basterà qui rammentare tutto quel che abbiamo illustrato in mostra: dai disegni di Sabatelli, Giani, Pinelli, Giannelli, Doré, Von Bayros, Nattini, a quel che qui si vede della pittura (in particolare Scheffer, Bianchi e Previati) e della scultura per rendersene conto. E se non sono mancate soprattutto nel Novecento e nella nostra contemporaneità versioni più forzate e azzardate, quasi un contrappunto reattivo alla iniziale definizione di colpa, quel libro, quell’abbraccio e quel bacio sono stati intesi come la visione di un sentimento eterno, che Dante, salvando anche all’Inferno un estremo lembo di umanità in ogni singola persona, ha rappresentato per sempre. Il peccato d’amore di Francesca, scriverà De Sanctis, «non si cancella più, diviene l’Eternità».